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Chiamami col mio nome, almeno all’università

mi rendo conto che, a prima vista, la maggior parte dei post qui pubblicati sembrano suggerire un’idea di una polonia omotransfoba. La polonia però non è un blocco monolitico (come forse farebbe piacere pensare ai nazionalisti), e mi sembra sano dubitare sempre che esista “una polonia”. Posso essere polacco e femminista, polacco e ambientalista, anche se il mio governo pensa che esista un’ideologia LGBT+. Penso sia importante sottolineare, quindi, tutti gli elementi di resistenza (per questo ho parlato di Stop Bzdurom o del Queer Tour, o degli eventi organizzati da Extinction Rebellion) in un contesto certamente oppressivo (ma possiamo dire che la situazione in italia si migliore?).

Oggi, dall’Università di Cracovia, arriva in questo senso una buona notizia: grazie all’impegno dell’associazione studentesca TęczUJ, d’ora in poi sarà possibile, per le persone nonbinarie o transgender, essere chiamate con il nome scelto dalle stesse.

Più concretamente, si potrà inserire il proprio nome nel sistema USOS (il sistema usato in polonia per iscriversi ai corsi universitari), ma anche teams e pegaz, autonomamente, per evitare di subire deadnaming.

Così facendo, non ci si baserà su quanto scritto sulla carta di identità per rivolgersi, per esempio in un’email, a unə studentə, ma sul nome effettivamente usato dalla persona interessata.

Il problema del deadnaming (spiegone per chi ne avesse bisogno: il deadnaming è l’atto di rivolgersi a una persona transgender o non-binaria con il nome che non usano più, ovvero il “dead name”, il nome morto, che magari è ancora quello che compare sulla carta d’identità) non è da sottovalutare e, negli ultimi mesi, a causa della didattica a distanza, è sembrato acuirsi.

Così dichiara a Codziennik Feministyczny Michał, che non ha mai avuto troppi problemi quando era la segreteria a informare i/le prof della sua situazione, ma per il quale le cose sono cambiate quando il sistema è passato ad essere completamente online e automatizzato durante la pandemia:

“vedere per un po’ di giorni il mio deadname su tutte le lezioni online mi ha fatto cominciare ad aver paura di entrare. Prima ho cominciato a fare ritardo, sperando che i/le prof non mi chiedessero nulla, e poi ho cominciato ad evitare le lezioni a causa dello stress”. Lo stress, aggiunge Michał, era legato al fatto che il suo deadname fosse visibile a tuttə.

L’inserimento autonomo del proprio nome, quindi, per quanto possa sembrare una cosa da nulla per chi ha il privilegio di identificarsi con il nome e il genere assegnato alla nascita, è un passo importante verso il diritto all’autodeterminazione e un ottimo esempio per tutte le altre università che, con un po’ di pazienza e competenza informatica, possono apportare la stessa innovazione ai propri sistemi. Perché cosa c’è di più alienante che non essere chiamatə con il proprio nome?