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Diario di una rivolta indecorosa

Portare uno striscione ti permette/costringe ad avanzare regolarmente e sentire bene il ritmo della manifestazione; la sfortuna è che avendo le mani occupate puoi prendere appunti soltanto mentali. Così molto mi è sfuggito e io stesso sono sfuggito a molto: per esempio: non sono stato pestato, una macchina non mi ha quasi investito cercando di sfondare il blocco e un nazista non mi ha strappato una bomboletta spray dalle mani. Sono successe anche cose belle, come cantare Bella ciao davanti ai nazionalisti o vedere dei bambini manifestare con noi (e i bambini nemmeno mi piacciono). Un giorno, quando saremo più tranquillǝ, metterò tutto al passato prossimo.

26 ottobre, lunedì. Mattina

Lunedì mattina mi sveglio e trovo sul mio telefono un messaggio che dice:

“Attenzione! Tutta la Polonia è zona rossa. Scarica l’app STOP COVID.”

Ora, dopo aver letto anche solo qualche pagina di Zuboff sono diffidente nei confronti di qualsiasi app, per non parlare di quelle elargite dal governo in tempi di proteste. Invece, mi iscrivo a Extinction Rebellion e leggo i loro consigli su come prepararsi per una manifestazione. Metto nello zaino una coperta, nel caso ci sia da restare per la notte, un sacchetto di mandorle, le meringhe vegane all’aquafaba che ho preparato ieri sera, Eating Animals per i momenti di noia, un blocco per prendere appunti (che non userò mai) e una bandiera arcobaleno che devo riportare a Squorp (questo personaggio compare per la prima volta qui). La mattinata vola preparandomi per il pomeriggio, aspettando quelle tre e cinquanta in cui dovrò uscire per trovarmi alle quattro in uno dei punti della città da bloccare. Prima di uscire, per la terza volta in un paio di mesi, mi scrivo il numero dell’avvocato sul braccio.

Pomeriggio

Mancano dieci minuti alle quattro e così esco e mi sono dirigo verso via Świętokrzyska, una delle vie principali del centro di Varsavia, una lunga via che collega il quartiere Wola con la zona dell’Università. Camminando verso l’incrocio di Rondo ONZ comincio a vedere delle ragazze e dei ragazzi con dei cartelli dello Strajk Kobiet, o altr* che guardano il telefono in cerca di informazioni. È come se tutti sapessimo che nell’aria sta per succedere qualcosa e si aspettasse il momento giusto per farlo accadere, quasi per una forza impersonale. Sono lì dal semaforo, in attesa del verde, quando una ragazza al mio fianco grida: “Dziewczyny!”  (ragazze!) e va sulle striscie per bloccare l’incrocio. Le ragazze dall’altra parte fanno lo stesso, mentre le macchine cominciano a clacsonare. Scrivo a un mio amico giornalista “hanno bloccato Rondo ONZ” e vado oltre, a cercare Sguorp che dovrebbe essere dalla parti dell’Ambasciata Italiana in via Jasna. Invece lo trovo già in via Świętokrzyska, all’incrocio con via Mazowiecka, a reggere uno striscione che dice “Pretendiamo la democrazia”. Qui le strade sono già state bloccate, in parte dallǝ attivistǝ a piedi, in parte da partecipanti in macchina, che mettendosi davanti alle altre vetture impediscono a queste di sfondare. Nel bel mezzo di Świętokrzyska, degli attivisti di Extinction Rebellion si stanno incollando le mani all’asfalto. Vagando tra la folla, aspetto che succeda quello che era successo qualche mese prima proprio all’azione di disobbedienza civile organizzata da XR, e cioè che arrivi la polizia e ci porti via tuttǝ. La polizia non arriva e non avendo il coraggio di incollarmi le mani all’asfalto, dopo un po’ mi unisco a Sguorp e a un’altr@ attivist@ di Extinction Rebellion nel reggere lo striscione. Scandiamo slogan come “Rewolucja jest kobietą” (“La rivoluzione è una donna”), seguendo la linea del movimento ambientalista che, dichiarandosi non-violento, ripudia anche la violenza verbale degli insulti.  A un certo punto un taxi cerca di sfondare, ma nessuno di noi si sposta e una ragazza si avvicina al finestrino e parla con l’autista. Non so cosa si dicono, ma dopo un paio di minuti il taxi fa marcia indietro e se ne va, tra gli applausi generali. Intanto alcune delle attivisti e degli attivisti di XR (organizzatore del blocco in questo punto della città) cominciano a staccarsi le mani dall’asfalto utilizzando dell’acetone, per spostarsi più verso via Marszałkowska. L’ultimo di loro si stacca proprio in tempo per far passare un’ambulanza.

Quando ci spostiamo per andare all’incrocio tra  Świętokrzyska e Marszałkowska scopriamo che tutta Varsavia è stata bloccata e che questo è il motivo per il quale la polizia non si è ancora fatta vedere da noi. Insomma, per una volta, si può davvero dire che loro hanno le pistole, ma noi abbiamo i numeri. Al nuovo incrocio, per contribuire al blocco stradale qualcuno comincia a prendere, uno ad uno, i monopattini elettrici noleggiabili, e a sdraiarli sulle strisce pedonali. Le macchine dei manifestanti tengono il ritmo, con i clacson, degli slogan che scandiamo. Una ragazza addirittura sale sul cofano della propria auto per intonare altri canti, mentre la sua amica, da dentro il veicolo, si occupa di suonare il clacson. Noi siamo sempre lì con lo striscione e, due volte, dei passanti si sentono in dovere di commentare quello che stiamo facendo. La prima è una signora, forse una cinquantina-sessantina d’anni, che ci dice “Ma non vi vergognate?”. Poi una giovane donna in bicicletta, che mentre passa davanti a noi ci invita a “crescere”. Alla prima signora, qualcuno risponde che lo stiamo facendo per le donne e lei risponde, urlando per non essere sovrastata dal rumore dei clacson “E io cosa sono? Scusate, e io cosa sono?”.

Passa un po’ di tempo e si decide di andare a protestare dalla Corte Costituzionale, ma prima di lasciare l’incrocio, una macchina riesce a sfondare e mette quasi sotto un’attivista. Un po’ di paura e ricominciamo a camminare. Parlando tra un canto e l’altro, Sguorp mi dice che, in un altro punto della strada, una persona è stata pestata da un tizio in tuta mimetica (non certo un militare, quanto piuttosto un nazionalista invasato).

Sera

E così scendiamo per via Marszałkowska e arriviamo alla Corte Costituzionale, dove giovedì si è votata quella sentenza infame che è il motivo per cui siamo qui. Una linea di poliziotti è schierata davanti ai cancelli, la gente adesso è veramente tantissima, la folla è densa, uno degli slogan scanditi è “togliti la divisa, chiedi scusa a tua madre”. Sembra una richiesta ingenua, ma non è da escludere che tra le persone che lavorano nelle forze dell’ordine ci sia qualcuno stanco di difendere uno status quo che fa solo gli interessi dei fanatici religiosi. Un amico di Squorp, presente il giorno dell’arresto di Margot, ci ha detto di aver sentito un poliziotto dietro di lui commentare a un collega: “Fanculo, domani non vengo a lavorare”.

Si cominciano anche a sentire slogan più volgari, come “Jebać PiS”, “Wyperdialać” (“vaffanculo PiS”, “andate a farvi fottere”) e da adesso, in effetti, non sto più partecipando alla piccola manifestazione organizzata da XR, anche se ne reggo lo striscione, ma alla manifestazione generale di Strajk Kobiet. La protesta, così, rivela anche a me una delle sue caratteristiche fondamentali: l’uso del linguaggio volgare, e non solo da parte dei manifestanti. Ieri, il poeta Tomasz Różycki, uno dei più apprezzati poeti contemporanei polacchi, ha pubblicato questo post:

“Sonet

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ovvero un “sonetto” che contiene, 14 volte, la parola “Wypierdalać!”
Qualcuno dirà, come sempre è successo, alle ragazze di non dire “cazzo”, ma quel qualcuno non sarò certo io.
Lasciamo la Corte Costituzionale e risaliamo per Aleje Ujazdowskie in direzione Plac Trzech Krzyży. In quella zona c’è il Ministero della Giustizia di Ziobro, autore di una donazione (dai fondi pubblici) ai comuni autodichiaratisi “zone libere dall’ideologia LGBT”. Un ragazzo in bicicletta si mette a gridare un insulto diretto al ministro, scatenando le risate generali.

Risaliamo per aleje Ujazdowskie a Piazza Trzech Krzyży. Lì appoggiamo lo striscione per terra e ci sediamo sopra, a mo’ di picnic, per bere un po’ d’acqua e trangugiare le meringhe all’aquafaba. Siamo lì seduti quando sentiamo un botto e vediamo che la folla si mette in movimento, corre verso di noi. Raccogliamo in fretta lo striscione e ci allontaniamo verso il marciapiede. Dopo qualche istante, una dopo l’altra, le persone cominciano a fermarsi e a rifluire verso il centro della piazza: era solo un petardo. Un po’ per le gambe stanche, un po’ per la schiena dolorante sotto lo zaino e un po’ per la fame (e altre mille scuse con cui cerco di allontanare il sospetto di avere scarse capacità di osservazione), noto solo adesso ciò che sta succedendo dalla chiesa sconsacrata che sorge in mezzo alla piazza. Dei nazionalisti (dei fascisti? Dei nazisti?) sono davanti all’entrata rialzata della chiesa, mentre un cordone di poliziotti li separa da tutti noi, una folla di gente accalcata attorno alla chiesa stessa. Qui la marcia si è fermata e allora dico a Squorp che sarebbe un’idea divertente (forse ho un concetto di divertimento un po’ strano) metterci a cantare Bella Ciao davanti ai fasci. Così ci mettiamo a cantare e arrivati alla seconda strofa le attiviste e gli attivisti di XR, in possesso di una cassa, mettono su una versione più carica della canzone. A quel punto, vicino alla cassa si crea uno spazio in cui la gente inizia a ballare, vorticosamente, proprio davanti alla frustrazione dei nazionalisti e all’indifferenza dei poliziotti.

Quando Squorp finisce di ballare, ci mettiamo a parlare con la ragazza che teneva lo striscione con noi, chiacchierando del più e del meno. Poi ci dividiamo di nuovo: Squorp torna verso la musica e io vado in giro a fare fotografie, queste:

La situazione, al di là del fare minaccioso dei nazionalisti (che per ora si limitano ad indicare persone tra la folla e a sbraitare, inaudibili), non sembra davvero poter sfociare in qualcosa di pericoloso. Mi sbaglio. Proprio mentre lo penso scoppia un altro petardo e la gente comincia a correre, questa volta urlando, molto più spaventata e disordinata di prima. Io e Squorp non ci vediamo. Di certo impanicato, pensando agli episodi di Torino di qualche anno fa, un po’ mi allontano e un po’ torno indietro per ritrovare Squorp. Passano pochi secondi pesantissimi e poi la folla di nuovo si calma e riusciamo a ritrovarci, arrabbiatǝ e spaventatǝ.

Riunitasi dopo quell’incidente, la folla viene separata di nuovo, questa volta in maniera più tranquilla, dalla macchina di Klementyna Suchanow, scrittrice, redattrice editoriale e dal 2016 attivista di Ogólnopolski Strajk Kobiet, che ci invita a seguirla e di andare a concludere la protesta dalla sede del PiS, in via Nowogrodzka. Così sfiliamo davanti al Palazzo della Cultura e per aleje Jerozolimskie, mentre è tutto un rumore di clacson lontani (agli incroci), le nostre percussioni, i loro elicotteri (già, hanno mandato anche gli elicotteri) fino ad arrivare a destinazione.

Lì, in via Nowogrodzka, mi prende  la stanchezza e, forse sembra brutto da dire, la noia. La noia perché, per quanto tu capisca la rabbia, è oggettivamente noioso ripetere (o sentir ripetere attorno a te) continuamente solo jebać pis. Due giorni più tardi la stessa Margot, a quanto mi dice Sguorp, avrebbe lamentato la stessa cosa. Mentre qualcuno, forse per combattere la stessa noia, si mette a fare le bolle di sapone, io comincio a fotografare i cartelli, andando da una persona all’altra e chiedendo “czy mogę zrobić zdjęcie?”. Eccone un paio:

di ritorno dal mio giro fotografico, Squorp mi informa che a una sua amica, in piazza Trzech Krzyży, un nazista ha strappato di mano una bomboletta spray. Stiamo lì ancora un po’, io faccio qualche altra foto e poi torniamo verso casa, questa volta cantando Fischia il vento. Prima di rincasare, andiamo ad ordinare una pizza. Io aspetto fuori, con lo striscione sotto il braccio, mentre Squorp fa l’ordinazione. C’è da aspettare dieci minuti e così andiamo a prendere due birre dallo Żabka vicino alla pizzeria. Mentre il cassiere prende in mano le nostre bottiglie, fuori, su via Świętokrzyska, cominciano a passare le auto della polizia. Ne conto almeno una ventina, una dopo l’altra. Mentre lo paghiamo, il cassiere commenta: “uno impazzisce con tutta questa polizia. Stanno dietro alle ragazze, a badare che non facciano niente di male.” Una pausa per riflettere e poi la sua sentenza: “Idioti.”

27 ottobre, martedì

Vado al lavoro e mi perdo Marta Lempart. È strano andare al lavoro normalmente, vedere le scritte proaborto sui muri e, con i gessetti, sui marciapiedi del mio quartiere. Vedere tutto il lascito della rabbia del giorno prima. Una rabbia che, mi sono sorpreso a pensare, potrebbe non portare a niente: una semplice massa di persone che urla grezzate contro il governo e che quando si stancherà di gridare non avrà ottenuto nulla.

Nel pomeriggio, però, mentre sono al lavoro, Marta Lempart rilascia delle dichiarazioni in cui presenta delle richieste raccolte dai manifestanti, ovvero cosa vuole chi protesta in Polonia (qui si possono leggere in italiano).

All’improvviso questa notizia cambia il mio atteggiamento nei confronti delle proteste. Se prima c’era solo una rabbia informe, sebbene motivatissima, ora ci sono richieste, alcune più generali, altre molto concrete, come eliminare l’educazione cattolica dalla scuola.

A fine giornata sto aspettando l’autobus che mi riporti a casa. Lavoro fuori Varsavia, in una città non molto grande, e non noto nessun segno della protesta. Eppure, proprio mentre sono alla fermata, il mio sguardo cade su un manifesto pro-aborto, che fotografo:

Un’altra bella notizia, rincasato, è constatare che mi sono dimenticato di buttare via l’avanzo di aquafaba montata e che ha ora formato una colla con il contenitore. Ancora stanco, crollo sul letto posticipando le pulizie a quando sarà tutto finito.

28 ottobre, mercoledì.

La mattina mi arriva la notizia che un’attivista è stata fermata a Plac Trzech Krzyży due giorni prima. L’accusa sembra essere “czynna napaść na policjanta”, ovvero un’aggressione attiva nei confronti di un poliziotto. Ricordiamo che in Polonia (ma credo anche in Italia) è sufficiente urtare un poliziotto per sbaglio o resistere in qualche modo scomposto ad un fermo per beccarsi un’accusa simile, specie se la situazione è agitata. In ogni caso, il tribunale sta decidendo se rilasciare questa persona o procedere con l’arresto, misura riservata – in teoria – alle persone ritenute pericolose o in grado di fuggire alla giustizia (ed è anche per questo che l’arresto di Margot, mesi fa, era del tutto immotivato).

Io e Squorp, ormai amichett* per la pelle (si lascia persino citare in queste righe), decidiamo di andare alla manifestazione di solidarietà organizzata da Anarchistyczny Czarny Krzyż (letteralmente: Croce Nera Anarchica) sotto al tribunale distrettuale. Siamo là verso le dieci, tra gli slogan “nie jesteś sama” (non sei sola), “uwolnij zatrzymaną” (rilasciala), “kiedy państwo mnie nie chroni mojej siostry będę bronić” (se lo stato non mi difende, mia sorella la difendo io), “solidarność naszą bronią” (la nostra arma è la solidarietà), “bez sprawiedliwości nie będzie pokoju” (senza giustizia non ci sarà pace). È piacevole non sentire sempre e solo “jebać PiS” e così mi sgolo come un dannato, sotto lo sguardo indifferente dei poliziotti davanti al tribunale. Forse in una quarantina di persone, c’è chi ha suona i tamburi, chi regge uno striscione, chi sventola la bandiera arcobaleno. Alla fine, qualche ora dopo, l’attivista viene liberata.

Dopo un pranzo veloce, verso le tre, torniamo a manifestare. Questa volta è lo sciopero generale indetto dallo Strajk Kobiet. Sotto il Sejm, dove raggiungiamo una massa di gente che balla e che grida, su un furgoncino c’è Marta Lempart, che dopo essere entrata momentaneamente nel Sejm annuncia: “Queste erano solo le prove generali per venerdì. Fanculo queste barriere, il Sejm è una cosa nostra”. Invita poi tutti a continuare a lottare e resistere dicendo, per la prima volta usando una voce veramente calma, quasi come se affettuosamente stesse parlando alle proprie sorelline, che “andrà bene” (będzie dobrze). Vengo intanto ad imparare, chiacchierando con un amico di Squorp, che non tutti amano la dichiarazione di Marta Lempart. Per esempio, questa non contiene nessun riferimento diretto ai diritti LGBTQAI+ (anche se si parla di “diritti umani”) e parla invece di misure di aiuto per “gli imprenditori”. Ci sono anche idee diverse su come bisognerebbe agire, se pensiamo che gli Anarchici non sono molto d’accordo con la filosofia di XR, che predica la non-violenza comprendendo anche la mera violenza verbale. Altri partecipanti si sono sentiti criticare per aver sventolato una bandiera arcobaleno. Non tutto è perfetto in una protesta così di massa, ma è difficile pensare che, almeno per il momento, si potrebbe sperare in qualcosa di meglio. Dispiace vedere poche persone oltre i quarant’anni, ma era prevedibile tenendo conto del pericolo coronavirus.

Qualche cartello davanti al Sejm:

Dopo aver manifestato un po’ dal Sejm andiamo alla Manifestazione degli Studenti, davanti ai cancelli dell’università. Le manifestazioni si mischiano l’una con l’altra e dopo un po’ gli stessi studenti tornano sotto al Sejm. Ci fermiamo a intonare slogan e solo quando stiamo per crollare dal sonno torniamo a casa. Ad aspettarci c’è ancora la pseudopanna di aquafaba: incrostata ostinatamente alle pareti del contenitore. Io e Squorp la guardiamo e ci chiediamo: ci libereremo prima di lei o dell’oppressione?