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Il mare d’autunno. Diario dalle proteste polacche

Avrei voluto fare il bravo e andare a tutte le manifestazioni possibili. Avrei voluto fare il bravo e scriverne ogni settimana, pubblicando a cadenza regolare, per dare un’idea di quello che succede e di come le cose si trasformano di protesta in protesta, di slogan in slogan, in strada, in piazza e fuori dalle caserme. Volevo chiamare il primo pezzo, quello che qui è sotto il titoletto “30 ottobre, venerdì” “Il mare d’autunno”, perché vedendo le foto dall’alto che sono circolate su internet qualche giorno dopo, quello mi sembrava che fossimo. E invece la mia indisciplina mi porta a mettere tutto insieme, fare un diariocollage con pezzetti presi di qua e di là, e tutto in ritardo. Questo pezzo si ferma una settimana fa. Lunedì abbiamo protestato e oggi, sabato, si protesterà ancora, e un po’ anche si festeggerà, dato che è il centoduesimo anniversario dell’ottenimento del diritto di voto da parte delle donne polacche. Forse si vede molto quanto i problemi mi sembrassero altri un mese fa (quando mi preoccupavo della banalità dei nostri cori, mentre oggi mi preoccupo della brutalità della polizia). Spero di scrivere della settimana passata (da lunedì 23 a stasera) domani, se per qualche motivo la polizia non mi ferma oggi (vorrei aggiungere un lol, perché non è poi così facile, ma non è neanche così impossibile. La scaramanzia consiglia di lollare o non lollare?).

30 ottobre, venerdì

La protesta di venerdì è stata diversa da come me la aspettavo. Dopo che Marta Lempart aveva cercato di bloccare il Sejm mercoledì, era tornata sul suo furgoncino e aveva detto: “Queste sono solo le prove per venerdì. Perché fanculo le barriere, il sejm è nostro.” Queste parole avevano indotto il mio cuoricino ingenuo a pensare che ci sarebbe stata una rivoluzione, o un bordello del genere. A mezzogiorno di venerdì, però, il Sejm è stato fatto evacuare ed è venuto a mancare il senso di protestare davanti ad un edificio vuoto.

Invece di andare sotto il Sejm, dunque, le proteste sono cominciate in punti della città diversi, per poi convergere a Rondo Dmowskiego e dirigersi verso la casa di Kaczyński nel quartiere di Żoliborz, fermandosi però prima, a Plac Wilsona.

Come in una silent disco, si poteva scegliere il blocco più adatto alle proprie inclinazioni. Tra le alternative che io e il mio amico Squorp abbiamo preso in considerazione: il blocco di XR (pro: non-violento), il blocco dove c’era Margot (pro: c’era Margot), il blocco degli antifascisti. Alla fine siamo andati a Łazienki e dopo un po’ siamo arrivati a Rondo Dmowskiego, dove ho capito che non tutte le persone alla protesta erano così femministe come mi aspettavo.

Già qualche giorno prima, alla protesta di mercoledì, avevo visto un cartello, che non ho fotografato, retto da un giovane manifestante: diceva “La moglie di — un politico polacco — rade la fica? No, .– il politico — se la rade da solo”. Il gioco di parole funziona in polacco perché il verbo “radersi”, golić, non è sempre riflessivo. Mi sono assicurato di aver letto e tradotto bene, ho chiesto al mio amico Squorp: “ma non è misogino… transfobico?…”. Ero veramente confuso. Sei allo Strajk Kobiet e scrivi un cartello in cui sottintendi che il motivo per cui politico-x fa schifo è collegato ai suoi genitali? Dovevo ancora rendermi conto che, per molti dei manifestanti, gli slogan preferiti vanno dal bodyshaming di “il politico x ce l’ha piccolo” all’ormai vuotissimo “jebać PiS” (“fanculo il PiS”).

Così quando a Plac Dmowskiego è passato il carro di Marta Lempart e una persona dietro di noi ha commentato “è quella pazza di Marta Lempart” ci sono rimasto davvero male. Ricordiamo che Lempart è l’attivista leader di Ogólnopolski Strajk Kobiet: andare a una protesta di Strajk Kobiet e dare della pazza a Marta Lempart è come ammettere di non sapere perché si è lì.

E da quella piazza in poi, cioè dall’unione di tutte le proteste, il canto più popolare è stato “fanculo il PiS”. Mentre cercavamo di avvicinarci alla testa della folla, abbiamo sentito una voce scandire uno slogan non tanto più “educato”, quanto più “preciso”: “Wybór, nie zakaz”: “Scelta, non divieto”. Abbiamo seguito il suono e siamo arrivati a una ragazza più piccola di noi, che intonava queste parole praticamente da sola e ci siamo uniti a lei. Ci ha ringraziat*: “Non ne potevo più di sentire solo jebać PiS”. Insieme a lei (e al suo gruppo di amiche) abbiamo intonato altri slogan che avevano a che fare con il diritto all’aborto (come “Myślę, czuję, decyduję”: penso, sento, decido) o con la solidarietà (come “Solidarność naszą bronią”, la nostra difesa è la solidarietà o “Kiedy państwo mnie nie chroni, mojej siostry będę bronić” quando lo stato non mi protegge, difenderò io le mie sorelle). Mi è solo dispiaciuto vedere che, in questo gruppo di amici, c’era anche un megafono, e lo teneva un ragazzo. Ragazzo che, a quanto pare, a meno che non lo si imbeccasse, si limitava a urlare “jebać PiS”. In una protesta che si chiama Strajk Kobiet, abbiamo ancora la pretesa di essere i personaggi principali. A un certo punto, mentre stavamo cantando “Penso, sento, decido”, il ragazzo si è messo a gridare dentro al megafono “Fanculo il PiS”. Invece di smettere, di farci zittire dalla banalità, abbiamo continuato a sgolarci cercando di sovrastare l’altoparlante. Ce l’abbiamo fatta, dopo un po’ il ragazzo ha smesso, anche se il giorno dopo mi sono risvegliato afono.

Intendiamoci, non è una questione di “parolacce”, ma di “idee”: dire “fuori la chiesa dalla mia figa” è molto meglio di mandare a fanculo il PiS, perché le idee sono più forti e definite, perché fa trasparire una consapevolezza riguardo al proprio corpo e al potere. Si può capire che molt* person* qui siano alle prime proteste (e non solo per questioni anagrafiche, ma anche per la percepita importanza di queste marce – conosco una persona di quasi 30 anni che ha partecipato alla sua prima manifestazione politica due settimane fa) e che quindi magari non sappiano altri slogan a parte “Jebać PiS”, ma allo stesso tempo dobbiamo aprire gli occhi e capire che anche nel bel mezzo di una folla arrabbiata si produce cultura e che diffondere uno slogan femminista ha ripercussioni culturali opposte a uno slogan che fa bodyshaming o dal retrogusto misogino.

Stavo pensando a queste cose, mentre dall’asfalto di Marszałkowska passavamo a seguire i binari del tram, quando ci è arrivata notizia che a Rondo De Gaulle, “dalla palma”, i nazionalisti avevano attaccato alcuni manifestanti. Bastano notizie come questa a rimettere tutto in prospettiva. Certo, dovremmo fare attenzione agli slogan che diffondiamo e che ci scambiamo per evitare di produrre una folla paradossalmente misogina, ma dovremmo anche chiederci chi o cosa hanno prodotto questi nazionalisti, da un po’ di tempo autodesignatisi difensori della moralità e delle chiese. Già domenica scorsa alcuni nazionalisti avevano buttato giù dalle scale davanti a una chiesa un’attivista che era entrata per protestare. Mercoledì, a piazza Trzech Krzyży, i fascisti erano all’entrata della chiesa in mezzo alla piazza, a mo’, credo fosse questa l’intenzione, di cani da guardia (come Attila in Novecento). Anche oggi c’erano, quando venendo da Łazienki siamo passati per quella piazza, e questa volta a separarli da noi non c’era solo la polizia, ma anche l’esercito. E chissà, forse la polizia era così impegnata attorno alle chiese che non è riuscita a intervenire in tempo a Rondo de Gaulle. Giorni dopo avrei scoperto, non di certo grazie ai media tradizionali, che a respingere l’attacco dei nazionalisti, venerdì 30 ottobre, sono stati gli anarchici.

Dopo aver calpestato asfalto, binari ed erba umida siamo arrivati a Plac Wilsona. Lì il carro delle organizzatrici si è fermato e noi, seduti o in piedi sullo spiazzo verde, abbiamo fatto uno spuntino mentre ascoltavamo gli interventi, alternati con le canzoni. Tra gli interventi, ricordo quello di una ragazza di Danzica, cis-etero, che diceva di avere un ragazzo, di volere avere figli, ma di avere intenzione di farne solo nel momento in cui lo avesse deciso. Una banalità? Ditelo a chi pensa che siamo solo una banda di gente che non prende abbastanza precauzioni.

Per la musica: per la prima volta ho sentito la versione di Bella Ciao con il nuovo testo in polacco scritto dopo la sentenza del Tribunale, sfruttando l’assonanza tra la parola italiana “ciao” e quella polacca “ciało” (“corpo”). Ho anche sentito per la prima volta una canzone in realtà non nuovissima, ma che giorni dopo ho cominciato ad ascoltare a ripetizione ed è diventata parte della mia colonna sonora personale per queste proteste: “Sorry Polsko” (“Polonia, scusami”) di Maria Peszek.

Mentre eravamo lì sono arrivati anche dei poliziotti, perché a quanto pare a Żoliborz cominciavano a radunarsi dei nazionalisti. È stata una delle ultima volte che ho visto i poliziotti fare qualcosa “per difenderci”. Le organizzatrici ci hanno invitat* a lasciare lentamente la piazza e a dirigerci verso (vorrei dire Ratusz Arsenal perché è lì che ho abbandonato il gruppo, ma non ricordo la meta prevista, comunque via Adama Mickiewicza). Mentre aspettavamo un nostro amico che, proprio dalla zona dove si erano radunati i nazionalisti, voleva venire a manifestare con noi, ho visto che una delle ragazza del gruppetto a cui ci eravamo uniti aveva strappato il megafono di mano al ragazzo e si era messa a intonare degli slogan intelligenti. Eventi microscopici come questo incrinano il mio pessimismo.

Appena arrivato, l’amico, un altro italiano, che potremmo chiamare Nongianni, ci ha salutato e, insieme al resto della folla, si è messo a intonare “Jebać PiS”. Lo chiamo Nongianni perché non è per niente un gianpeople (chi non sa di cosa parlo, segua Teoria Gender Per La Vita) e vedere che anche lui era stato contagiato da quelle tre sillabe, mi ha fatto capire la pericolosità di quello slogan. Questa risiede proprio nella sua brevità: le tre sillabe di “jebać PiS” hanno più possibilità di essere riprodotte correttamente rispetto a “Penso, sento, decido”; per non parlare di “Kiedy państwo mnie nie chroni mojej siostry będę bronić”. Qualcuno potrebbe dire: dovevate fare la rivoluzione e ti preoccupi degli slogan? In effetti sì, perché quello che si dice in un punto della folla viene o non viene ripetuto da un altro punto e uno slogan non è solo un grido belluino e un’espressione di rabbia o malcontento, è anche, nel bene e nel male, un “meme” infettivo, che può essere educativo o diseducativo. Chi urla che il tal politico ce l’ha piccolo rinforza la cultura del bodyshaming, mentre chi grida “Wybór, nie zakaz” (Scelta, non divieto), pur impiegando un numero limitato di sillabe, afferma e richiede il diritto all’aborto.

Pensavo a queste cose mentre prendevamo a calci il mare di foglie gialle sul marciapiede di via Andersa, dalle parti di Ogród Krasiński, vicino al cinema Muranów. Dopo aver salutato Nongianni, io e Squorp abbiamo preso da soli via Elektoralna per tornare a casa e allora mi sono lasciato andare:

“Forse mi è piaciuta di più la manifestazione in solidarietà dell’arrestata, martedì. O anche quelle per il clima, a settembre”

“È perché lì si era in meno, e tutti sapevano per cosa erano lì, e ci tenevano molto.”

“…”

“Però tu ricorda che, nel nostro cuoricino, noi sappiamo perché siamo qui.”

2 novembre

Tra i vari punti in cui si protesta, decidi di andare con le attiviste e gli attivisti di Extinction Rebellion a bloccare la strada sotto un ponte vicino al centro storico. È una protesta tranquilla, ma è anche l’ultima che raggiungerà le altre sotto il Sejm. La gente balla, gioca, fa uno spuntino, un ragazzo illustra le tecniche usate dagli attivisti di xr per comunicare e prendere decisioni in modo da risparmiare tempo anche in situazioni d’emergenza. Fa vedere come sedersi per terra per opporre una resistenza solo passiva e nonviolenta (ovvero passandosi le braccia sotto le ginocchia e afferrando una mano con l’altra, i pollici nascosti).

Una ragazza porta persino il tè caldo ai poliziotti che stanno lì a guardarci, dicendo “noi siamo qui per scelta, loro no.”. Squorp, avvolt* in una bandiera arcobaleno, reagisce con una smusta scettica.

L’unico momento di tensione avviene quando una macchina cerca di sfondare, il conduttore scende e comincia ad inveire contro ai presenti. Un poliziotto e un volontario di xr in maglietta bianca riescono a parlarci e a calmarlo, prima di farlo passare. Quando decidiamo, dopo votazione, di raggiungere gli altri gruppi sotto il Sejm, a metà strada ci arrivano notizie che le proteste sono praticamente finite e solo alcun* attivist* decidono di continuare (tu no, pigrone).

 

9 novembre

 

E quindi procrastini la rilettura di quello che è successo venerdì e intanto ottobre diventa novembre, vai alla protesta del lunedì (ormai sai già che diventerà per te come la messa o la partita la domenica per altri) e succedono altre cose, per esempio devi presentarti dalla polizia per proteste di qualche mese prima (in realtà sono appena due mesi, eppure ti sembra sia passato un anno) e il pezzo che hai intitolato “Il mare d’autunno” rimane una bozza da sgrezzare. È di nuovo lunedì.

È di nuovo lunedì e il lunedì si va a protestare, così alle cinque e cinquanta esci di casa e attraversi il centro di Varsavia per andare fino a via Szucha. Negli ultimi giorni i poliziotti si sono fatti sempre meno gentili, se mai lo sono stati. Venerdì un amico di Squorp, che potremmo chiamare Xram, si è beccato una multa per aver osservato in disparte la manifestazione. Mentre stai per raggiungere via Szucha, non lontano dal Parco Łazienki, leggi su Telegram che Klementyna Suchanów, una delle leader più riconoscibili di Ogólnopolski Strajk Kobiet (insieme a Marta Lempart), quella che hai imparato a riconoscere quando parla perché, secondo il tuo povero orecchio forestiero, scandisce gli slogan troppo velocemente per renderli riproducibili, è stata fermata da dei poliziotti.

In via Koszykowa ti incontri con Squorp, la tua guida nel mondo delle proteste, e procedete insieme verso Piękna. Quando da Aleje Ujazdowskie, tra i cumuli di foglie ingiallite, scorgete le macchine e le luci blu della polizia, su Telegram arriva la notizia che Suchanow è stata appena rilasciata. “Ci siamo persǝ il main event”, dice Squorp, che non proferisce solo saggezze e chiarimenti linguistici, ma anche cazzate scioglitensione come questa.

Vi avvicinate e guardando il modo in cui si muove la folla capisci come funziona il nuovo modo di protestare di cui hai sentito solo parlare: per non venire considerati assembramento i partecipanti della manifestazione, invece di rimanere fermi, si muovono in cerchio rimanendo – per lo più – sui marciapiedi. Cioè: camminano per la lunghezza del marciapiede, attraversano la strada sulle strisce, proseguono in direzione opposta sull’altro marciapiede, fino a che non riattraversano alla strada e ricomincia il giro. Per la legge: stanno facendo una passeggiata.

Solo dopo che sei passato da un marciapiede all’altro anche tu ti rendi conto che sei davanti al Ministero dell’Istruzione. Su questo edificio, qualche mese fa, delle attiviste hanno scritto i nomi dei ragazzi LGBTQ+ uccisi dall’odio e dall’ignoranza. Ora sull’erbetta di fuori dal palazzo i/le manifestant* lasciano i cartelloni con su scritte cose come “Istruisciti tu”.

 

Da Via Szucha la folla di passeggiatrici e passeggiatori, sempre in fila più o meno indiana, si dirige verso plac Unii Lubelskiej e comincia a girare intorno. Come sempre si intonano slogan, si fa baccano, le organizzatrici parlano al megafono. Dopo un po’ si va di nuovo verso via Szucha. Poi una decisione apparentemente improvvisa: si procede fino a plac na Rozdrożu, la piazza all’altra estremità della via che dà su un’importante arteria della città, Aleja Armii Ludowej. La piazza è collegata a questa strada da una scalinata che porta a una fermata dell’autobus. La folla comincia a scendere i gradini mentre tu stai ancora pensando sul da farsi. Non su cosa sia giusto o sbagliato, ma su quanto possa essere sicuro per una folla accalcarsi su i gradini e poi, come vedi che succede, entrare in quella specie di tangenziale. Mentre guardi dall’alto la gente bloccare il traffico, ti riprometti di scrivere dopo di quell’incertezza, che ti ricorda la titubanza che si ha a volte prima di entrare in acqua, ti dici che sarà importante, quanto trascriverai questi appunti mentali, sottolineare che una protesta non è fatta tutta di sacrifici automatici e di dedizione alla causa, ma anche di dubbi, esitazioni spesso vinte perché “ne vale la pena”, ma non sempre. Sarà importante scriverne per tutte le persone che pensano che si possa solo essere attivist* 24 ore su 24, mentre in realtà, almeno per te, si tratta di una continua scelta (anche per esclusione), una continua valutazione del rischio e anche una continua lotta contro il senso di colpa di non fare abbastanza, che forse nel caso di chi scrive è motivato, ma che comunque non aiuta. Quando cammini in mezzo alla tangenziale tra i tuoi pensieri c’è anche spazio per le cose meschine, come “se prendessi una multa, potrei permettermi di pagarla?

Pensi che la mattina seguente devi andare a lavorare e non puoi permetterti (ancora una volta questo verbo odioso) di essere arrestato. Così, quando una volta che la manifestazione è tornata su Marszałkowska e i poliziotti ordinano di disperdersi e di proseguire sui marciapiedi, dopo aver salutato lasci il tuo gruppo e ti allontani sul marciapiede. Non ti senti ok, ti senti che hai ceduto troppo in fretta. Ti senti in colpa. La marcia procede e i poliziotti cercano continuamente di dividere le persone formando cordoni. Quando pensi di ritornare, il corteo sta imboccando una traversa e il cordone di poliziotti, mettendosi in mezzo, ti separa dal resto della protesta.

 

Ci sono dunque cose che ti perdi, che ti vengono raccontate solo minuti dopo, quando dopo aver vagato un po’ riesci a ritrovare il tuo gruppo seduto su un muretto di una via vicina a Plac Trzech Krzyży, dove alcun* attivist* si sono sedut* per terra in mezzo alla strada. Ecco cosa non hai visto:

 

-Le attiviste battere in velocità la polizia e riuscire a bloccare la strada sedendosi. Poi, ovviamente, le attiviste trascinate via dai pulotti. Portate sui marciapiedi, circondate, identificate. Quando arrivi tu, molto molto lentamente, stanno cominciando a rilasciarle.

 

-Due amiche, due signore di una certa età, del gruppo delle Polskie Babcie (Nonne Polacche). Una delle due viene fermata dai poliziotti e allora l’amica va dal cordone e chiede se può parlare con l’altra, chiederle se sta bene. Siamo anziane, forse potete farle un’eccezione e farmi passare, dice. No, dicono i poliziotti che forse non saranno troppo intelligenti, ma di sicuro non sono buoni. Niente eccezioni.

 

-Altre due amiche, due ragazze molto giovani, forse studentesse universitarie, forse scuole superiori. Stanno sedute sul muretto, un poliziotto dice “è meglio se andate via, siete giovani, non volete avere problemi con la scuola, che vi arrivi una lettera a casa”, al che un ragazzo seduto con loro lo interrompe: “Stare sedut* sul muretto non è illegale” e il pulotto deve convenirne “ok, stare sedut* sul muretto non è illegale”.

 

Quando tutt* vengono rilasciati, anche tu scendi dal muretto umido e risali verso Trzech Krzyży, verso casa.

 

11 novembre

 

È il giorno dell’indipendenza polacca. Da qualche anno i nazionalisti si sono “appropriati” della marcia, che è diventata sempre più violenta (la stessa Margot, in un articolo non mi ricordo dove, dichiarava di essere stata pestata per aver attaccatoe lo Strajk Kobiet informa, dal canale di Telegram, che per evitare provocazioni il piano è di rimanere in casa. Così decidi di andare a Cracovia, dalla famiglia della tua compagna e per diverse ore stacchi completamente e non guardi il telefono. È solo la sera che la tua compagna ti informa di quanto è successo: durante la marcia, i nazionalisti hanno lanciato un razzo nell’appartamento di uno studioso di Witkacy. A quanto pare, volevano prendere una bandiera arcobaleno, ma hanno sbagliato piano. Come sempre: cattiveria e stupidità.

 

18 novembre

 

Si manifesta sotto la televisione nazionale, TVP. Dopo che nel 2015 il governo ha fatto passare una legge che permetteva allo stesso di nominare il direttore della televisione, TVP ha cominciato una crociata contro le persone LGBTQ+. Un esempio: il “documentario” mandato in onda ad ottobre 2019, Invazja, nel quale “l’invasione” del titolo è quella delle persone LGBTQ+, il cui effetto sulla società è paragonato a quello dell’invasione della Svezia e della Russia perpetrata ai danni della Polonia nel diciassettesimo secolo.

La folla è riuscita a radunarsi lì, ti sembra, perché la polizia non è stata abbastanza veloce a bloccare l’entrata di quella strada e i manifestanti sono affluiti lì da una traversa di Nowy Świat, una delle vie principali del centro. Non è la prima volta – e pensi al 9 novembre – che le persone in protesta colgono impreparata la polizia da un punto di vista, diciamo, organizzativo. O forse è solo il fattore dell’imprevedibilità.

Proprio a Nowy Świat, da dove vieni anche tu, hai visto gli autobus fermati e solo giorni dopo ti renderai conto, guardando le foto, che al posto dei numeri e delle destinazioni, nel loro schermo luminoso hanno scritto “Ragazze, siamo con voi”, “Andrà tutto bene”. Sotto l’edificio della TVP, in plac Powstańców Warszawy, la folla comincia a intonare slogan, alcuni attivisti e attiviste prendono la parola, i caschi bianchi della prevenzione intanto circondano la piazza. Qualcuno spraya sull’asfalto un fulmine rosso, il simbolo dello Strajk Kobiet. A un certo punto, insieme a un altro gruppo di persone cercate di andarvene per la via da cui siete venuti, questa volta verso Nowy Świat, ma la polizia blocca l’uscita. Nel fermare chi protesta, probabilmente agitati da un provocatore (e nei giorni che seguono ne vedrai altri, sempre grossi energumeni senza mascherina) usano anche il gas contro un giornalista.

Murati dalla polizia, si decide di ritornare in piazza, dove notate subito che un’auto è stata accerchiata da un gruppo di manifestanti. Ti avvicini e vedi che non è una vettura della polizia, né un’ambulanza, né un taxi. Sulla carrozzeria è chiara la scritta TVP. Qualcuno ha già cominciato a distribuire adesivi e diversi manifestant* cominciano ad attaccarli ai vetri, agli sportelli e al cofano della macchina: alcuni di questi raffigurano semplicemente il logo di Strajk Kobiet, su un altro c’è scritto: “sport, zdrowie, homoseksualizm” (sport, salute, omosessualità).

Dopo un po’, sentendo che la polizia ha fermato e portato via dei manifestanti, andate sotto al commisariato di via Wilcza, a fare una manifestazione di solidarietà. Sotto al commissariato c’è il gruppo di percussionist* “Samba”; dopo un po’ arriva anche un tizio a vendere panini. Più tardi arriva anche un’infagottatissima Margot e la parlamentare Agnieszka Dziemianowicz-Bąk, a controllare le condizioni delle persone fermate.

Tu e Squorp ve ne andate proprio mentre la polizia sta cominciando a circondare le persone e a chiudere le uscite dalla strada. Quello che succederà è che altre persone saranno fermate, prese di forza tra i manifestanti pacifici (vale la pena sottolinearlo), mentre altre si rifugieranno nel centro sociale Syrena, proprio di fronte alla caserma di polizia. È anche in seguito a questi fermi, prima nella piazza sotto la TVP, poi a Wilcza, che nel canale Telegram dello Strajk Kobiet apprarirà il messaggio „volevate una Bielorussia? L’avrete”. Da oggi si cominceranno a cercare più frequentemente i provocatori nella folla, a preoccuparsi di più della polizia, a vedere, in generale, le forze dell’ordine sempre con meno fiducia. Nei giorni seguenti, sui social media, leggerai, scritte da cittadini comuni, cose come: „Dopo gli eventi di ieri, che occhiali consigliate per evitare i gas lacrimogeni?”.

 

19 novembre

 

La mattina sei ancora abbastanza stanco per la sera prima. Eppure c’è quel senso del dovere (o di colpa), del “non posso stare in casa quando a due metri si protesta per una causa così ovviamente giusta” e così prendi e vai verso il tribunale di via Solidarność 127. Lì è appena iniziata un’altra manifestazione di solidarietà nei confronti di una ragazza per cui avevate già manifestato qualche tempo prima, che era stata rilasciata, ma di cui la procuratura aveva richiesto l’arresto (un comportamento questo, da parte delle autorità, del tutto simile a quello avuto con la più mediatica Margot in termini di disproporzionalità delle misure). I poliziotti hanno già fatto partire la cantilena preregistrata sulle note di “pensa alla salute, resta a casa”. Da notare, a proposito di coronavirus, che i manifestanti stanno mantenendo le distanze e che hanno tutti le mascherine, come in tutte le altre proteste. È bene precisarlo perché sabato 21 un articolo-intervista a Marta Lempart uscito sul Corriere mostrerà una foto (probabilmente di quattro anni fa, a giudicare dai capelli ancora neri della Lempart) che ritrae manifestanti senza mascherine, abbastanza fuorviante.

C’è una delle Polskie Babcie (Squorp mi dice che è l’amica di quella che hanno fermato una settimana prima) con un altro signore abbastanza anziano (per camminare si aiuta con un bastone). I due salgono le scale del tribunale, si mettono in uno spiazzo libero e srotolano uno striscione che dice “Mamy prawa! Prawa fizyki Prawa Logiki Prawa człowieka”. I poliziotti cominciano ad andare in giro a prendere i dati delle persone. Una situazione tragicomica: per proteggere i cittadini dal coronavirus un poliziotto va a mettersi vicino a un’altra persona, con notevoli eccezioni: per esempio quando 4 poliziotti attorniano un ragazzo, evidentemente più pericoloso in quanto dotato di megafono.

Donati anche i tuoi dati decidi di ritornare a casa, dove fra poco deve cominciare il tuo lavoro a distanza. Ancora una volta, sei scampato al peggio: i poliziotti, davanti al tribunale, sono passati dal prendere i dati a prendere direttamente le persone e portarle via, prima nelle loro vetture e poi a commissariati fuori mano, anche fuori Varsavia. Alcune ragazze che cercavano di impedire alle macchine della polizia di portare via altr* manifestanti, sono state scagliate a terra.

Torni a casa e ti prepari per la lezione d’inglese. Metti gli auricolari e pensi che aveva ragione Squorp quando, riflettendo sul nostro stile di vita nelle ultime settimane, diceva che è straniante passare da urlare per strada a fare lezione in casa, davanti a un computer e davanti a una parete dal color pastello. Parlando con voce pacata con le tue studentesse, tacendo delle tue opinioni, concedendoti forse appena un’innocua battuta sulle sirene che ti impediscono di fare lezione. Ma in fondo sì, stai facendo finta che quel rumore e quel mare di gente oltre i doppi vetri della tua finestra semplicemente non esistano.