Categories
General

Manifestazione contro la violenza della polizia

Oggi, dalle 14.00, di fronte alla sede della polizia di Nowolipie a Varsavia, si è tenuta una manifestazione contro la violenza della polizia. C’erano giornalisti, ma – quello che è più importante – attivist* appartenenti a diversi movimenti, spaziando dalle Polskie Babcie (“Le nonne polacche”) alla sezione polacca di Extinction Rebellion.
Il susseguirsi degli interventi al microfono ha avuto su di me due effetti: il primo: mi ha fatto sentire ‘informato’. Più informato dopo due ore per strada che dopo aver letto un numero di Polityka. Il secondo: mi ha fatto venire voglia di fare i bagagli e venir via (ma per andare dove? Nell’Italia di Draghi?).

Perché venir via? Perché come ha detto una delle prime persone a parlare al microfono, “la situazione in Polonia sembra andare nella stessa direzione della Bielorussia”. In questo intervento, c’era anche l’invito ai poliziotti e alle poliziotte di comportarsi umanamente, ricordando che si può sempre scegliere tra essere un “poliziotto-persona” e un “poliziotto al servizio del potere”. Qualcuno ha notato come l’aver ridotto a soli due mesi l’addestramento delle nuove reclute sia uno dei motivi per i quali le persone spedite alle manifestazioni pacifiche come comportarsi.

Ha parlato anche Mola, la ragazza che gestiva il canale Telegram delle proteste e a cui un poliziotto ha rotto il braccio. Il suo intervento mi è sembrato molto più disilluso di quelli delle persone, più anziane di lei, che l’hanno preceduta. Infatti, a parte parlare di “vergogna”, nelle parole di Mola non c’è quella sorta di speranza che ancora si può intravedere nei discorsi di chi parla di “poliziotto-persona”.

Mola ha prima menzionato il fastidio di essere stata “ridotta a quell’evento”. Ha poi parlato degli effetti della violenza subita:

“Mai nella vita ho vissuto un’umiliazione paragonabile a quella vissuta nel furgone della polizia – che tra l’altro è quello parcheggiato là, dal semaforo, potete fare ciao con la manina – nel quale per un’ora mi hanno negato assistenza medica nonostante i poliziotti mi avessero rotto il braccio in più punti. (…)

Sono passati forse tre mesi e tutto il tempo lotto per diverse cose. Non si tratta di fare riabilitazione e tanti saluti. C’è un ci sono costi materiali e costi psicologici. C’è che adesso ho paura ad uscire di casa, perché la gente mi scrive ancora messaggi dicendo che la polizia ha fatto bene a fare quello che ha fatto. C’è che l’avvocato dei poliziotti dice che sarebbe colpa mia. Ricevo continuamente messaggi che non dovrei vivere, che lo Stato mi dovrebbe uccidere e che è giusto che sia successo quello che è successo. Vorrei che la polizia si prendesse la responsabilità di quanto successo e non di far finta di nulla, dando la colpa a me e coprendo i colpevoli. Perché quello che succede in quell’edificio di fronte a me (indica il commissariato) è coprire i colpevoli. (…)

Le persone che mi hanno fatto questo continuano ad essere protette, l’autovettura nella quale mi hanno negato il soccorso medico è proprio lì davanti a voi… e tutto va bene in questo Paese, giusto? Le persone che hanno contatti con la polizia vengono  … si continua a tacere, si continua a dire che nessuno sa cosa è successo. Personalmente mi vergognerei tantissimo se qualcuno al lavoro da me facesse male a qualcun altro e io continuassi a fare quel lavoro e continuassi a chiudere gli occhi, non riuscirei a reggere a livello mentale.

(…) in questo momento vorrei anche dire che la polizia rappresenta il potere e i poliziotti sono uno strumento di questo potere e che nessun movimento sociale e nessuna persona che si ribella al potere non dovrebbe stare dalla parte dei poliziotti (…)”.

Ho sentito fino all’intervento di un’altra ragazza, Olivia, che si presentava con un visibile cerotto sopra il setto nasale. Olivia è cittadina polacca, ma oltre al modo brutale con cui è stata trattata fisicamente (naso rotto), ha dovuto subire anche degli insulti razzisti.

Non voglio essere così ingenuo da pensare che i poliziotti lì davanti stessero davvero ascoltando tutte le cose dette dalle persone che si alternavano al microfono. Altrimenti avrebbero preso sul serio l’invito che da mesi ormai viene rivolto loro in sempre più occasioni: zdejmij mundur, przeproś matkętogliti la divisa, chiedi scusa a tua madre.