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“Il pericolo era la polizia”. Un’italiana alle proteste varsaviane

Ho chiacchierato con un’italiana che vive a Varsavia e ha partecipato alle proteste. Alle mie domande ingenue e pagliacce ha risposto con molta pazienza.

Cosa fai qua in Polonia? Sei italiana o sei polacca? Come ti presenteresti?

Allora, nonostante tutti mi scambino per polacca, sono italiana e mi sono trasferita in Polonia più o meno due anni fa dopo aver trovato un lavoro che reputavo interessante in una multinazionale. Ho deciso di trasferirmi in Polonia anche perché ero sempre stata interessata alla cultura e alla lingua polacca e infatti all’università ho studiato Lingua e letteratura polacca.

Quindi mi sono trasferita qui non per necessità, ma soprattutto per l’amore che avevo verso questo paese.

C’eri già stata prima?

Sì, ci avevo vissuto già più o meno un anno e mezzo, però non a Varsavia, ma a Poznań.

Quanti anni fa?

Ero in Erasmus, ed ero a Poznań nell’anno accademico 2013-2014 e poi ero tornata anche l’anno successivo al mio primo anno di magistrale, con un’altra borsa di studio. Quindi ero già stata in Polonia, ma da studentessa universitaria.

Quindi ti era piaciuto e ti sei detta, “adesso che ho trovato questo lavoro, vado”?

Sì, esatto: in realtà in Italia avevo una situazione abbastanza stabile: avevo una relazione fissa da due anni e mezzo, possibilità di lavorare anche con la società di famiglia, avevo un’idea di lavorare nel turismo, avevo appena preso il patentino come tour leader… però poi ho pensato di provare a cercare un lavoro un po’ più stabile perché non mi andava, all’epoca, di aprire la partita IVA.

Avendo questa situazione avrei potuto decidere di rimanere a vivere a Ravenna e dintorni per tutta la vita, però avevo ancora dentro di me il bisogno di fare nuove esperienze all’estero e di evadere dalla quotidianità della città di provincia e quando la voglia di scoprire il mondo si è risvegliata ho deciso di mandare curriculum anche in Polonia. Dopo due settimane sono stata presa e non ci ho pensato su troppo e son partita.

Quindi tu non eri qua quando c’era Czarny Protest, nel 2016?

mm.. fammi pensare…

Scusa per la domanda “da polizia”…

Non so, venivo ogni tanto, ma non ero qua fissa. Ne sentivo parlare anche tramite le mie amiche polacche che avevo conosciuto durante l’Erasmus.

Qual è stata la prima protesta a cui hai partecipato?

Allora, la sentenza è stata il 22 ottobre, giusto? Io penso di aver partecipato alla prima protesta il primo lunedì seguente. Ancora ero un po’ titubante perché volevo scendere in piazza e sentivo di voler essere solidale con le donne polacche e con il genere femminile in generale, però allo stesso tempo mi sentivo anche un po’ un’irresponsabile dal punto di vista… per via della pandemia, ecco. Cioè, non sapevo se fosse il caso di uscire e di far parte degli assembramenti. Non era ovviamente perché non appoggiassi le proteste, ma perché avevo paura di contagiare qualcuno o di essere contagiata e di portare il virus a casa. Ero ancora un po’ confusa a riguardo.

Capisco…

Però questa mia indecisione non è durata tantissimo perché poi anche facendo un po’ di ricerche e capendo cosa stesse succedendo, mi sono detta: “ok, bisogna decidere quali sono le priorità. Non si può stare fermi solo perché c’è una pandemia perché ci sono cose più importanti e se non si fa qualcosa adesso poi si rischia di non riuscire a cambiare le cose. Non possiamo aspettare la fine della pandemia per protestare contro una sentenza che è stata pronunciata adesso.”

Certo…

Perché probabilmente è stata pronunciata in questo momento anche apposta per mettere in difficoltà chi protesta. Credo…

È l’idea che avevamo tutti in quel momento.

Sì, esatto, sembrava quasi una presa in giro ulteriore: già era grave la situazione in sé e in più pronunci questa sentenza in un momento difficile per tutto il mondo e devi, come dire, rigirare il coltello nella piaga… pretendendo o facendo finta di pensare che le persone non sarebbero scese in piazza perché c’era la pandemia.

Quindi ho deciso di andare a manifestare. All’inizio non ho neanche detto niente ai miei, con cui sono sempre in contatto, perché non volevo che si preoccupassero.

Anch’io non sapevo se dirlo ai miei…

Poi in realtà ho cominciato a parlarne, a mandare foto dalle proteste, i fiumi di gente…

E traducevi anche gli slogan?

Sì, alcuni sì. Soprattutto a mio padre, perché mio padre è stato sempre molto attivo anche nei suoi anni alle scuole superiori… ha partecipato alle manifestazioni, a Roma, negli anni Settanta. Quindi parlare a lui di queste cose ci avvicina.

E quindi sono andata la prima volta da sola, perché non avevo ancora persone con cui andare alla protesta. Ai blocchi a Rondo Waszyngtona. Però ero da sola e non avevo mai partecipato in modo attivo a una protesta…

Neanche in Italia?

In Italia ho partecipato, ma tanti anni fa. Per esempio avevo partecipato a quelle contro la riforma della scuola; ho occupato la scuola… ai tempi della riforma Gelmini. Quindi un po’ di anni fa… in più ero da sola e non sapevo come avrebbe reagito la polizia e quali fossero i rischi e cosa si dovesse fare. Quindi ero lì, ma mi tenevo un po’ a distanza.

Anche per me è stato sempre così quando andavo da solo. Anch’io ero un po’ più titubante: non sapevo quanto fare, dove andare…

Sì, esatto. Cioè, all’inizio poi ancora di più. Infatti ho seguito un po’, però poi ho preso la metro diretta a casa. Sono arrivata a Świętokrzyska. Sapevo però che tutte le persone si sarebbero ritrovate a Pałac Kultury e allora ho deciso all’improvviso di scendere dalla metro e di ritornare alle proteste, questa volta in Marszałkowska. E lì, anche se ero da sola, ho cominciato un po’ a capire come fossero organizzate. C’erano gli striscioni con scritto “Piekło Kobiet”, gruppi di persone che ballavano già storpiando le parole delle canzoni

Ti volevo chiedere una cosa. Tu dicevi che, sì, era la tua prima volta e non sapevi bene come la polizia avrebbe reagito. C’era già la sensazione che la polizia potesse reagire in modo violento?

Va beh, in generale io non mi fido molto della polizia (applausi). Parto un po’ con questo pregiudizio (ride). Poi pensando anche alle proteste in Bielorussia… non c’era, forse, questa sensazione: almeno dove mi trovavo io non è successo niente di grave. Però, poi a maggior ragione essendo io straniera avevo paura di trovarmi in difficoltà e non riuscire a spiegarmi bene. Anche se parlo polacco, comunque, non è la stessa cosa comunicare con la polizia.

Vorrei farti una domanda che non condivido, ma che potrebbe farti un mio conoscente: perché sei andata a protestare, dato che sei italiana (e non polacca)?

Sono andata non in quanto italiana, ma in quanto donna. Per esprimere la mia solidarietà verso le donne polacche perché penso che il diritto all’aborto sia importante a livello globale. In quel momento non era importante la nazionalità delle singole donne… dovevamo unirci in quanto genere femminile. E in più, vivo qua e sono molto affezionata alla Polonia e alla cultura polacca e quello che è successo mi ha molto turbata anche a livello personale: sono ormai dieci anni che ho a che fare con questo paese e che studio con passione la lingua e cerco di studiarne la storia e la cultura e tutto e quindi… vedere un passo indietro del genere, dal mio punto di vista, mi ha toccato a livello emotivo e personale… sono rimasta molto delusa da questa cosa.

Sì, tra l’altro le ragioni, come dici tu, “personali”, non sono sempre la stessa cosa di quelle “pratiche”.

Sì, esatto: dal mio punto di vista, a livello pratico non ho pensato a “protesto se no non posso più abortire”, perché io potrei tornare in Italia. Avrei meno problemi di altri a trovare un posto dove abortire. Però ovviamente mi metto nei panni delle ragazze che sono qui e che non si possono permettere di andare all’estero.

 

Io e te siamo stati anche circondat* dalla polizia insieme e volevo chiederti… com’è stata per te quella magica esperienza?

Io, ti dico, qualche anno fa sono andato al pride di Varsavia e lì la presenza della polizia mi dava anche un minimo senso di sicurezza, dato che a Rzeszów ci avevano tirato le uova, a Białystok i nazionalisti avrebbero tirato anche i sassi, a Lublino avrebbero portato una bomba fatta in casa – faccio un riassunto veloce – a Varsavia comunque è arrivato un tizio e ha strappato di dosso un pezzo di vestito a una drag queen urlandole insulti omofobi. Quindi a me, la polizia, al pride di due anni fa, dava… (mi sorprendo a dirlo) quasi sicurezza. Adesso, invece, quando vedo un poliziotto è il contrario… non so te che esperienza hai. Parlami un po’ del tuo rapporto con la polizia e poi se vuoi fare riferimento a quel “bel momento”…

Io avevo già avuto un’esperienza abbastanza futile con la polizia a Poznań ai tempi dell’Erasmus. Mi trovavo fuori da un locale. Era abbastanza caldo, c’era la gente che beveva fuori, ero con due miei amici: una ragazza mezza polacca e mezza turca e un mio amico polacco. Qua in Polonia è illegale dal bicchiere per strada, però davanti ai locali, entro una certa metratura, si può. Noi avevamo oltrepassato questa “linea di confine” di tipo di dieci centimetri… e c’erano tantissime altre persone e all’improvviso è arrivato un furgoncino della polizia ed è venuto proprio da noi tre, non so per quale motivo. Sono scesi due poliziotti e ci hanno chiesto di seguirli dentro al furgoncino. Io tra l’altro non mi ero neanche resa conto della situazione e non capivo perché dovessimo seguirli. Entrati dentro al furgoncino ci hanno chiesto i documenti e ci hanno detto: “ah, sapete che stavate oltrepassando il confine… (ride) …diciamo, oltre al quale non è permesso bere birra dal bicchiere”

Vi hanno fatto entrare in un furgoncino per questo?

Sì, per dirci questa cosa. Io parlavo polacco già e ho detto “scusi, non c’eravamo resi conto di questa cosa e comunque era pieno di persone anche più in là rispetto a noi”. Insomma, non mi sembrava una cosa molto grave. E poi, tra l’altro io, devo aver fatto una battuta e la ragazza mezzo turca e mezzo polacca mi guarda e mi fa “no, non ridere”. E mi sono presa quasi paura perché mi son detta: “ma come, cioè, davanti ai poliziotti non si può neanche sorridere che se no pensano che li stai sfidando…”

…sì… sono permalosi questi poliziotti!

Comunque è finita che hanno fatto la multa solo al ragazzo polacco. Eravamo insieme, esattamente nello stesso punto, ma alla fine hanno fatto la multa di cento złoty, solo a lui, e non l’hanno fatta a me, perché ero italiana e alla ragazza, che ha dato il passaporto turco. E, niente, alla fine ci siamo divisi la multa in tre per solidarietà… 

Oh, carino…

Però, sì, i poliziotti mi avevano fatto un’impressione molto brutta dentro questo camioncino perché sembravano veramente poco amichevoli, poco ragionevoli, quasi come dei robot… sembrava che fossero partiti con l’idea di fare delle multe, di eseguire degli ordini, senza però poi avere la giusta flessibilità, dato che noi comunque ci trovavamo davvero quasi con un piede da una parte e un piede dall’altra di questo confine immaginario e non stavamo facendo niente di grave, né eravamo ubriachi… mi sono sembrati degli automi.

Sì, ma sono davvero “permalosi”. Io una volta ho visto che un signore aveva osato chiedere a un poliziotto di identificarsi e questi gli ha risposto “calma, stiamo calmi” – ma il signore era calmissimo. Beh, raccontami, se ti va, di quella volta in cui i poliziotti hanno circondato la folla in cui c’eri anche tu.

Era il 28 novembre, stava nevicando. All’improvviso hanno cominciato a circondarci con questi, si chiamano “cordoni”, no? e hanno fatto partire la voce registrata che dice di “disperdersi”. Però in realtà non potevamo disperderci perché ci stavano circondando. Anche lì mi veniva da ridere, perché mi sembrava una situazione tragicomica. Viene da pensare: ma allora davvero questi poliziotti agiscono senza pensare e fanno quello che magari sono tenuti a fare, eseguono ordini senza prima usare il cervello…

Senza vedere qual è la situazione reale… se vedi delle persone bloccate non inviti a disperdersi. Sembra quasi ironico. 

Sì, oppure, “noi abbiamo la registrazione, la dobbiamo far partire per forza”… poi c’era anche una delle organizzatrici che diceva “apriteci un varco, vogliamo solo andare a prendere la metro”.

Sì, perché tra l’altro, la manifestazione  era verso la fine in quel momento. La ragazza aveva detto “ci stiamo avviando verso casa” e la polizia ha prima bloccato da davanti, poi dai lati, poi da dietro.

E noi abbiamo cominciato a cercare una via di fuga a un certo momento.

Sì, neanche di fuga, perché la polizia ci ha detto “disperdetevi” e noi volevamo “disperderci”.

Sì, non è che volevamo scappare a gambe levate… cercavamo un modo per riuscire, piano piano, a raggiungere la metro.

Però poi da ogni lato uscivano sempre di più poliziotti col casco bianco…

Com’era la situazione? Come ti sentivi te?

Mi veniva un po’ da ridere per queste contraddizioni della polizia. A un certo punto alcuni hanno cominciato a dire “dobbiamo fare la pipì”. Non ero neanche troppo preoccupata. Più che altro avevo un gran freddo, perché aveva cominciato a nevicare, io non avevo neanche i guanti molto pesanti, quindi cominciavo a sentire freddo e avevo paura di ammalarmi e poi non sapevo quanto tempo saremmo rimasti lì bloccati. Perché poi ci hanno detto che ci volevano identificare; però eravamo anche tanti.

Sì, eravamo tantissimi.

Sì, eravamo tantissimi. Quindi io mi aspettavo già di passare tutta la notte al freddo e al gelo ad aspettare di venire identificata. Poi dopo un po’ abbiamo trovato un poliziotto che ci ha preso i dati e l’attesa non è stata così lunga. Poi voi mi avevate detto che si poteva rifiutare la multa. Quindi io ero convinta che mi avrebbero fatto la multa e mi stavo preparando psicologicamente a dire “non accetto la multa” in polacco. Ma proprio carichissima: sentivo che sarebbe arrivato il mio momento per rischiare qualcosa. Cioè, d’accordo essere solidale, però era anche un modo per metterci la faccia e rischiare in prima persona anche a livello simbolico.

Quindi un po’ volevi che ti proponessero la multa

Sì, cioè, in realtà speravo mi facessero la multa perché sarebbe stato un modo per prendere una posizione netta e dimostrare che credevo veramente in quello per cui stavo protestando.

Certo, ha senso

Poi ho beccato il poliziotto che (scoppia a ridere) intanto ha guardato malissimo la carta d’identità italiana chiedendosi cosa fosse sta roba. Ci ha messo un po’ a prendere i dati perché forse non riusciva a capire com’era girata la carta d’identità, però poi me l’ha riconsegnata e mi ha segnata solo come testimone “del linguaggio volgare usato” (anche lì, assurdo). Senza multa. Quindi ero anche un po’ delusa. Cioè, del tipo, ma come, io ero qua, quasi gliel’avrei detto lo stesso: “non accetto la multa!”…

Mi sono ricordata solo adesso di questo mio “sentimento”…

È interessante, e lo capisco. La prima volta che ho rifiutato una multa mi sono sentito come pensavo mi sarei sentito quando avrei perso la verginità: tipo, l’ho fatto una volta, lo posso fare un’altra.

Sì, esatto, è stato un po’ così perché quella protesta ha segnato per me una svolta interiore.

Nelle manifestazioni precedenti non avevo mai provato qualcosa di simile, cioè, mi sentivo una manifestante in mezzo alla folla, in mezzo a un fiume di gente, in Marszałkowska o davanti al Parlamento… mi sentivo anche più protetta dalle altre persone, perché c’erano spesso anche migliaia di persone, e non avevo visto scene particolarmente preoccupanti,

Sì, non eri mai stata a tu per tu con un poliziotto

Sì, esatto. L’unico momento un po’ preoccupante era stato causato dai nazionalisti, che in Marszałkowska avevano cominciato a tirare dei petardi e in quel momento mi trovavo di fronte al Novotel e all’improvviso abbiamo visto questa folla di gente venire verso di noi e per un attimo abbiamo avuto paura di essere travolti e abbiamo capito dopo che queste persone stavano scappando perché i nazionalisti avevano fatto esplodere i petardi.

Dopo sta cosa della nevicata ti sei sentita più coinvolta? Cioè, sto cercando di capire meglio cosa mi hai detto

Sì, perché eravamo in tanti, però non eravamo diecimila, e quindi ho sentito di essere comunque più importante, che la mia presenza fosse più decisiva rispetto alle altre volte.

Anche quando siamo poi andati di fronte all’università c’era poca gente a protestare. Lì ho deciso di stare lontana perché dopo pochi giorni sarei dovuta partire per l’Italia – in quel momento avevo paura di rimanere troppo coinvolta.

Ecco, infatti, per Natale sei tornata in Italia…

Quando sono tornata in Italia ho cercato di parlarne tanto con amici, famigliari, dato che so che ci sono state un po’ di notizie però molto basilari… non ne parlano quasi mai…

Sì, ho sentito una persona dire che le proteste sarebbero “ricominciate”, ma in realtà non si sono mica mai fermate. Tu sei stata in Italia più di due mesi… a qualcuno gliene frega qualcosa?

Ai miei amici forse interessa un po’ di più perché sono dieci anni che rompo le scatole parlando della Polonia, sanno che io vivo qua e ovviamente anche i miei familiari sono interessati e allo stesso tempo preoccupati. Per esempio, a un certo punto mia madre mi ha detto “no, non tornare là, c’è questa situazione pericolosa…”

Scusa se ti chiedo di esplicitarlo, ma dicendo “pericolosa” a cosa si riferiva?

Pericolosa perché a quel punto avevo messo in chiaro che avevo partecipato a molte proteste e che probabilmente avrei continuato a partecipare una volta tornata in Polonia.

E il “pericolo” posso chiedere quale intendeva? Il coronavirus?

No…

Chiedo per chiarire…

No, hai ragione, beh, il pericolo era… la polizia

Oh, sono contento che tu abbia detto questa frase perché… sembra un paradosso dire “il pericolo è la polizia”, ma…

Beh, sì, il pericolo sono gli abusi della polizia.

Vorrei fare l’ingenuo: che cosa hai sentito che fa la polizia qua in Polonia?

Ho sentito che…

Le cose peggiori che hai sentito.

Che hanno rotto il braccio a una ragazza molto giovane…

…diciannovenne…

…poi hanno fermato una signora abbastanza anziana e malata di diabete negandole, per un po’, le medicine, trattandola male e umiliandola…

…tra l’altro l’hanno rifermata lunedì, proprio il giorno della donna…

…e anche… qualcuno era stato investito dalla polizia a Plac Unii Lubelskiej.

Quindi queste sono le prime cose che ti vengono in mente.

Sì, esatto. E, niente, dopo mi sono anche un po’ pentita di aver dato troppi dettagli ai miei perché in effetti poi mia madre si è un po’ preoccupata.

Ho fatto anche leggere alcune cose tue… no vabeh, questo non lo scrivere però.

No, no, invece lo scrivo.