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Il costo della sorellanza. Come è finita con Justyna e una riflessione

L’Aborcyjny Dream Team ha comunicato l’esito del processo a Justyna Wydrzyńska (qui e qui i miei vecchi articoli sulla vicenda). Justyna è stata giudicata colpevole di aver fornito ad Anna del mizoprostol, ovvero di averla aiutata ad abortire. Otto mesi di libertà vigilata e 30 ore mensili di lavori socialmente utili. Scagionata dalle accuse di possesso e distribuzione. La giustificazione del verdetto rimane segreta.

È deprimente, certo. Non si può dire che sia inatteso: Justyna non ha mai nascosto di aver effettivamente aiutato questa persona. Il problema, e la cosa deprimente, è proprio che aiutare una persona a decidere di se stessa venga considerato reato.

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Aggiornamento sul processo a Justyna Wydrzyńska

Vi parlo del 14 luglio, anche se è il 2 settembre, perché gli ultimi mesi ho poltrito. Come sapete dall’articolo precedente di questo blog, il 14 luglio c’è stata la seconda udienza del processo a Justyna Wydrzyńska, il cui merito (o la cui colpa, per lo stato polacco) è stato quello di aiutare una donna, Ania, ad abortire e quindi a sottrarsi al marito abusivo.

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Reato di solidarietà. Per aver aiutato una donna ad abortire Justyna rischia 3 anni di carcere

Ricordo almeno una protesta varsaviana in cui, tra uno slogan femminista e uno antipolizia, la persona con il megafono (non so dire se Lempart o Suchanow o altr*) si era messa a scandire questo numero: 222-922-597.

Si tratta del numero di Aborcja Bez Granic (letteralmente, “aborto senza frontiere”), “un’iniziativa internazionale costituita da sei organizzazioni” – come è scritto sul sito – “sorta con l’obiettivo di aiutare le persone ad accedere all’aborto”.

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“Uh, è la rivoluzione” Ricordi delle proteste polacche (ma anche tanta roba che vi farà incazzare)

Questa intervista l’ho fatta in due giorni, tra il 30 maggio e il 31 maggio. La persona intervistata è quella che io definirei un’attivista, avendo partecipato a proteste e azioni e avendo avuto ruoli organizzativi in alcune di esse. È, ovviamente, anche molto di più: una persona non-binaria, una persona bisessuale, una persona anarchica e, forse suo malgrado, un* cittadin* polacc*. Buona lettura.

Volevo prima chiederti di presentarti. Ovviamente non mi interessa minimamente il tuo nome e il tuo cognome.

Sono nata nei primi anni Novanta nella Polonia del Sud-est da genitori di classe proletaria. Ho fatto la mia piccola carrierina, mi sono trasferita a Varsavia, ho fatto l’università qua.

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Camminata varsaviana, o di come occupiamo gli spazi.

Ho ritrovato questa roba in un file creato il 17 gennaio (era la ricopiatura di un foglio scritto non mi ricordo quando, ma probabilmente non troppi giorni prima). Ho aggiunto qualche annotazione nel caso gli avvenimenti ai quali facevo riferimento avessero bisogno di un’attualizzazione. Dentro c’è un sacco di porcheria, compresa la storia dei cartelloni con i feti. Ecco qua:

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“Il pericolo era la polizia”. Un’italiana alle proteste varsaviane

Ho chiacchierato con un’italiana che vive a Varsavia e ha partecipato alle proteste. Alle mie domande ingenue e pagliacce ha risposto con molta pazienza.

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Due parole con Babcia Kasia

Domenica scorsa, alla manifestazione di solidarietà per le persone fermate dalla polizia in via Krucza, per due minuti ho vinto la mia timidezza e la mia cronica paura di disturbare e ho chiesto a Babcia Kasia se era disponibile a farsi intervistare per un semisconosciuto blog in italiano. Ci siamo scambiatǝ i contatti e abbiamo trovato l’occasione dopo una settimana, ieri, prima della manifestazione contro la violenza della polizia (di cui ho scritto qualcosa qui) in via Nowolipie. Ci siamo datǝ appuntamento poco meno di un’ora prima dell’evento, verso l’una. Il primo pomeriggio fresco ma assolato, l’azzurro del cielo e il canto degli uccellini stavano lenendo il mio nervosismo quando, arrivato davanti alla sede della polizia, ho visto che il posto era circondato da poliziotti. Così ho fatto due passi e ho scritto a Kasia, proponendole di vederci dalle panchine fuori dal cinema Muranów, qualche metro più in là. Dopo cinque minuti di attesa, guardando verso i poliziotti ho scorto una persona minuta venire verso di me con passo deciso, e man mano che si avvicinava, ho riconosciuto la cuffia nera solcata dal fulmine rosso simbolo dello Strajk Kobiet e una mascherina con gli stessi colori. Ci siamo salutatǝ, l’ho ringraziata e le ho chiesto se preferisse il lei o il tu (mi avrebbe lo stesso corretto un sacco di volte durante l’intervista, aggiungendo una “sz” alla fine dei miei verbi, reindirizzandomi dalla terza alla seconda persona). L’idea di fare l’intervista quasi un’ora prima dell’evento e a una certa distanza dal luogo stesso era quella di avere un minimo di privacy. Purtroppo la privacy è durata poco, perché avevo appena azionato il registratore e cominciato con la prima domanda, quando un poliziotto è venuto da noi e ci ha interrottǝ:

(Poliziotto) Buongiorno.

(Babcia Kasia) Buongiorno.

(P) Buongiorno signora Kasia, qui *****.

(BK) Il mio meno preferito, ultimamente… e perché viene qui da me?

(P) Per capire se la signora è interessata all’assembramento di oggi.

(BK) Come vede, mi sono data appuntamento con un amico.

(P) Non siete, signori, interessati all’evento di oggi?

(BK) Ah, non abbiamo il diritto ad essere interessati? Ce l’abbiamo.

(P) Io per gentilezza sono venuto qui… a presentarmi… che sono qui.

(BK) Capisco… capisco… ma davvero Lei chiede ad ogni persona se è interessata all’evento?

(P) No, ma so che la signora partecipa sempre a questi assembramenti… quindi sono venuto.

(BK) Allora, signor ****, le dico: sono interessata.

(P) Bene, allora solo una richiesta e cioè… noi stiamo lì e se potete, signori, stare su questo marciapiede, assembrarvi qui.

(BK) Ma, signore, lei vede che non c’è…

(P) Eh, non c’è l’organizzatrice.

(P) Non c’è l’organizzatrice quindi… lo dico a voi.

(BK) Io sono qui ora come privata cittadina.

(P) Ora come privata cittadina, ok… non vi disturbo… siamo a vostra disposizione. (se ne va)

(BK) (scoppia a ridere) grazie, davvero, vi ringrazio… non abbiamo bisogno di voi.

(io): ok, surreale.

(BK) Con **** ci conosciamo da tanti anni che… ma cominciamo con le domande…

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Gli sbirri tornano a fare i bulli

continuano le proteste contro la sentenza che rende l’aborto sempre più illegale in Polonia. Ieri sera lo Strajk Kobiet, guidato da Marta Lempart e Klementyna Suchanow, ha bloccato la zona vicino al Tribunale, dalle sette di sera fino a notte inoltrata. In via Szucha, alcun* attivist* di Extinction Rebellion e Klementyna Suchanow sono riuscit* a scavalcare i cancelli del tribunale e inchiodare al portone un manifesto con la scritta: “Oggi l’Argentina, domani la Polonia” (Dzisiaj Argentyna, jutro Polska). Sono stat* fermat* dalla polizia, che ha portato gli attivisti di XR a Grodzisk Mazowiecki e Suchanow a Mińsk Mazowiecki.

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Note da una protesta inutile ma anche no

ieri pomeriggio è cominciata a circolare su internet (io l’ho saputo attraverso telegram) la notizia che il tribunale stava per pubblicare la sentenza del 22 ottobre. Tale sentenza rende l’aborto sempre più impraticabile in Polonia. Infatti dichiara incostituzionale l’aborto nei casi di malformazioni del feto e, secondo quanto riporta oggi Wyborcza[1], “le malformazioni del feto costituiscono la motivazione con la quale vengono portati a termine più del 90% degli aborti legali”. Il canale che seguo su telegram scriveva:

 

“URGENTE: il tribunale costituzionale ha pubblicato la motivazione della sentenza. Ci vediamo alle 18:30 sotto il palazzo del tribunale in via Szucha.”

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Varsavia, Polonia, 1312

Il 13 dicembre, per i/le cittadinǝ polacchǝ è un giorno importante. Nel 1981, in questa data, il generale Jaruzelski dichiarava lo stato di guerra (stan wojenny), ovvero l’entrata in vigore della legge marziale, che sarebbe durata fino al 22 luglio 1983. Un periodo di repressione che in moltǝ ricordano e che qualcun* comincia ad associare alla situazione attuale.

Negli ultimi tempi, in effetti, la polizia ha fatto molto per farsi odiare: , oltre ad aver fatto tantissime multe sommarie, giustificandosi con l’emergenza coronavirus, ha: gettato del gas lacrimogeno ad una giornalista, investito un manifestante, strappato il tesserino di una parlamentare e rotto un braccio ad un’adolescente. Sicuramente sto dimenticando qualcosa. Mi sembra quindi comprensibile che, domenica 13, molte delle invettive di chi protestava fossero dirette alla polizia.