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Il costo della sorellanza. Come è finita con Justyna e una riflessione

L’Aborcyjny Dream Team ha comunicato l’esito del processo a Justyna Wydrzyńska (qui e qui i miei vecchi articoli sulla vicenda). Justyna è stata giudicata colpevole di aver fornito ad Anna del mizoprostol, ovvero di averla aiutata ad abortire. Otto mesi di libertà vigilata e 30 ore mensili di lavori socialmente utili. Scagionata dalle accuse di possesso e distribuzione. La giustificazione del verdetto rimane segreta.

È deprimente, certo. Non si può dire che sia inatteso: Justyna non ha mai nascosto di aver effettivamente aiutato questa persona. Il problema, e la cosa deprimente, è proprio che aiutare una persona a decidere di se stessa venga considerato reato.

Se qualcosa possiamo prendere di positivo da tutto questo, è che questa vicenda mostra per l’ennesima volta quanto ciò che è legale sia molto distante da ciò che è giusto. Tant* altr* prima di me hanno notato come, dopo vent’anni di Berlusconi, sia l’opposizione che la stampa mainstream (ma spesso anche gli autori satirici) si siano concentrati sul fatto che Berlusconi era un fenomeno negativo per via delle sue vicende giudiziarie. Questo legalismo ha infettato anche me e per un bel po’, perché non ammetterlo, sceglievo chi votare anche in base alla fedina penale, e ho confuso molte volte la giustizia con la legalità. Ho l’impressione che, insieme a me (non contando tutte le persone più sveglie del sottoscritto che non si sono mai fatte abbindolare dalla retorica legalista), molte persone in Italia stiano diventando più critiche verso questo pensiero, verso l’assunto cioè che, fino a quando non commetto un reato, allora sono una persona per bene (e, se invece lo commetto, merito quanto di peggio). Sempre più spesso (anche se forse sempre troppo tardi) ci domandiamo: che importa se qualche criminale ha tecnicamente i requisiti per beccarsi il 41-bis… il 41 bis è giusto? Se un centro sociale occupato illegalmente fornisce ciò che lo Stato non vuole fornire, è giusto chiuderlo? Se per protestare si infrange la legge (che sia un decreto pandemia, che sia un sit-in, che sia occupare un’autostrada) si passa davvero, come si sente dire spesso, dalla parte del torto?

Quando mi hanno scagionato per aver protestato in tempo di pandemia, il giudice ha dichiarato che secondo il decreto “era vietato organizzare proteste” e non c’erano prove che io ne fossi l’organizzatore. E, certamente, ero ben contento di non dover beccarmi una multa, dato che non sguazzo nell’oro come un pesce baleno. Ma anche se fosse stato? Anche se fossi stato io l’organizzatore, o anche se il giudice non avesse voluto salvarmi con la sua scrupolosa interpretazione (perchè diciamolo, giudici meno ‘carini’, hanno multato senza pietà poveracci come me, anche se nemmeno loro hanno mai organizzato alcunché), sarebbe stato “giusto” punirmi?

Scrivere questa roba su un blog che sta in piedi grazie a noblogs è come scoprire l’acqua calda. Ma so che non tutt* quell* che mi leggono vengono dagli ambienti delle occupazioni, e non tutti sono necessariamente d’accordo. Io stesso molto a lungo, in questo stesso blog, ho cercato di difendere le proteste polacche spiegando come, per esempio, il decreto che voleva impedirle sfruttando la pandemia fosse in contrasto con la costituzione di questo paese, la quale prevede che il diritto alla riunione e alla protesta possa essere limitato solo attraverso una legge e non un semplice decreto. Ma che senso avevano queste mie difese: far andare bene le proteste a chi sarebbe pronto a deprecarle nel momento in cui qualcosa di illegale dovesse avervi luogo? Era ingiusto o era solo illegale scavalcare i cancelli attorno al tribunale della Corte Costituzionale per inchiodare ai portoni un manifesto con la scritta “Oggi l’Argentina, domani la Polonia”? Era ingiusto o era solo illegale tagliare gli pneumatici a un furgoncino che andava in giro diffondendo hatespeech sulle persone LGTBQAI? Ha senso voler essere accettati da chi queste cose non le capisce? O è il momento che siano queste persone a venirci incontro, i vari Hartman a capire che non dovrebbero sprecare lo spazio dei loro editoriali per farci la paternale, ma per scantarsi, per essere solidali. Oggi bisogna scegliere: o si sta dalla parte della legalità o si sta con Justyna. Perché Justyna è veramente colpevole di avere infranto la legge, ma ogni tanto la legge deve infrangersi, per aprirsi, affinché un po’ di umanità possa entrare fra le sue crepe.

Wolf Bukowski, tra tante altre persone, l’ha detto prima e meglio di me:

“(…) una democrazia (…) o si fonda su un rapporto con l’esterno – l’esterno delle leggi, l’esterno dei propri processi istituzionali – oppure è condannata a volgersi in modo sempre più marcato verso un autoritarismo aperto a possibilità fasciste. La democrazia rappresentativa si è costituita infatti per successive inclusioni e riconoscimenti di soggetti (i ceti bassi maschili, poi le donne; ma anche le minoranze linguistiche, eccetera) e di temi (quelli sociali, quelli di genere, eccetera), e il suo esterno è la riserva di vita sociale a cui deve fare ricorso per non implodere; ma questo esterno comprende, necessariamente, anche l’illegale, e anzi quei temi e soggetti sono potuti entrare nel canone solo dopo che uno scontro frontale – che puntava i piedi sull’illegale – ha allargato le maglie della legalità.” (Wolf Bukowski, “La buona educazione degli oppressi. Piccola storia del decoro” pp. 99-100, Alegre, 2019)