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Camminata varsaviana, o di come occupiamo gli spazi.

Ho ritrovato questa roba in un file creato il 17 gennaio (era la ricopiatura di un foglio scritto non mi ricordo quando, ma probabilmente non troppi giorni prima). Ho aggiunto qualche annotazione nel caso gli avvenimenti ai quali facevo riferimento avessero bisogno di un’attualizzazione. Dentro c’è un sacco di porcheria, compresa la storia dei cartelloni con i feti. Ecco qua:

Dove sono i gradi (meno diciotto) promessi dal meteo? Ieri notte, addormentandomi alle timide fusa di un termosifone tiepido, non percepivo nessun freddo particolare. Così stamattina, volendo saggiare la resistenza del mio corpo, sono uscito per le strade imburrate di neve.

E appunto: non era per niente freddo. Andavo in direzione del parco Łazienki e sono passato per Nowy Świat, una via del centro a cui, negli anni Settanta, Zagajewski ha dedicato una poesia che non ho capito. Lì, forse grazie al potere che ha la neve di mettere in risalto certe cose, ho notato per la prima volta gli addobbi natalizi di una nota marca italiana di cioccolatini. E ho pensato che fosse un po’ terribile che il centro fosse sfruttato come vetrina prestigiosa e gigantesca, dato in pasto al miglior offerente. Dopo due passi da questo pensiero mi sono reso conto della sua banalità. E di averlo già avuto prima: sia in relazione al centro della città italiana in cui ho studiato, sia quando mi trovavo, circa un mese fa, in un altro angolo di Varsavia, all’incrocio tra Jana Pawła e Solidarności. Un incrocio che è praticamente un ammasso di insegne pubblicitarie, dove è impossibile non sentirsi aggrediti da neon e cartelloni. È banale: le strade sono di chi ha i soldi per comprarsi gli spazi pubblicitari o per pagare gli affitti e vendere la propria merce.

Strano è, ho pensato superando la finta palma innevata della rotonda e procedendo verso Trzech Krzyży, che concentrandomi su quanto certe zone di internet fossero uno spazio pubblicitario, mi sia dimenticato di esercitare un minimo di critica sugli spazi tangibili, in fondo accettando di essere sommerso, smettendo di accorgermi dell’aggressione in atto.

Eppure questa aggressione era ben visibile, così come le reazioni di chi voleva opporre resistenza.

Per esempio, la sera del 4 dicembre, mentre camminavo con Squorp di ritorno da una manifestazione, abbiamo notato un manifesto che raffigurava un feto contenuto in un cuoricino. Era solo un disegno, senza firma, senza slogan, senza niente. Ovviamente puzzava di antichoice, così Squorp ci ha attaccato sopra un adesivo sul quale è stampato il numero da chiamare per essere aiutat* ad abortire. Ci ho dormito sopra, pensando solo a quanto fosse strano e kitsch quel disegno.

Eppure il giorno dopo quelle robacce erano ovunque. Sempre senza firma, senza logo, senza indicazioni su chi potesse essere l’autore di quella promozione della natalità. Era, curiosamente (non pensavo avrei mai usato questo avverbio, così disponibile verso il destino), lo stesso periodo in cui in Italia comparivano dei manifesti contro la pillola del giorno dopo. Se ricordo bene, il modo in cui in Italia si è reagito a questa invasione è stato del tutto simile all’istintiva strategia adottata in Polonia: la gente ha cominciato a scriverci e scarabocchiarci sopra.

A volte erano scritte (“Pro abo”, “Pro choice”), a volte il fulmine rosso simbolo delle proteste, a volte il simbolo anarchico. Mi piacerebbe dire che questa battaglia sia stata vinta da chi non voleva questi cartelloni grotteschi nelle proprie strade, ma non è così. Mentre, di ritorno da Łazienki, risalivo per via Piękna, ho visto l’ennesimo di questi cartelloni con la scritta “Tak dla in vitro” (Sì all’invitro). È importante che questa resistenza ci sia, ma non bisogna dimenticare che non si tratta di una lotta ad armi pari. Infatti, dopo qualche giorno, già a dicembre erano comparsi nuovi cartelloni con la firma dell’autore di questa invasione degli ultrafeti: si tratta della fondazione Nasze Dzieci[1] (I nostri bambini).

Ora, sicuramente la fondazione si occupa di fare del bene a dei bambini che ne hanno bisogno (e qui bisognerebbe discutere sul fatto che non è direttamente lo Stato a occuparsene), ma il gesto di piazzare questi cartelloni pubblicitari in tutta la Polonia proprio a un mese dalla sentenza che rende sempre più difficile abortire è semplicemente un insulto dei più meschini. Le persone che cercano di “correggere” questi manifesti hanno tutto il mio rispetto, ma la loro è una battaglia persa, perché la fondazione ha piazzato nuovi obbrobi su schermi pubblicitari mobili che, per esempio, lo alternano alla pubblicità di una famosa marca di capsule di saccarosio dal vago sapore di menta. Sfruttando questa alternanza pubblicitaria, qualsiasi sfottò diretto al feto andrebbe a colpire anche l’altro prodotto pubblicizzato. Ma, al di là di questo caso particolare (il quale, volendo, alla fine si può superare con l’idea che una scritta “pro abo” non fa male a nessuno e che anche vicino a delle mentine può andare bene), il problema è soprattutto economico. A quanto pare questa fondazione può riempire un intero paese delle sue[2] schifezze, alcune in posti così alti che per modificarli chi protesta dovrebbe mettere a rischio la propria incolumità fisica. Come dicevo, una lotta impari.

Ha senso combattere una battaglia anche senza aver possibilità di vincere? In certi casi sì, soprattutto per chi combatte: serve a scoprirsi, nel bel mezzo della lotta, più spiritosi, più scaltri e più intelligenti del proprio avversario.

È quanto accaduto con i comunicati della polizia. Da quando le proteste sono cominciate la polizia si è infatti servita del panico creato dal coronavirus per dissuadere i cittadini dal prendere parte alle proteste, premendo sul tasto della responsabilità civile. Ricordiamo che, dal punto di vista legale, in Polonia per sospendere il diritto a riunirsi e manifestare, occorre una legge e non basta un decreto legislativo. Ciònonostante il comunicato preregistrato diffuso dalla polizia durante le recenti proteste recitava “il vostro comportamento è ‘niezgodne z prawem’”, ovvero “illegale”. È comprensibile: uno sbirro non è tenuto ad essere un giurista, specialmente quando comunque si sente libero di poter fare qualsiasi cosa (tipo rompere il braccio a una ragazzina).

Questi comunicati occupavano uno spazio non meno importante e non meno reale rispetto ai muri coperti dai manifesti: l’aria. Devo ringraziare chi ha pensato a come riappropiarcene, registrando un controcomunicato che diceva che il nostro comportamento era “zgodnie z prawem” (legale) e si invitava la polizia a non fare gesti violenti come spezzare le braccia agli adolescenti. La prima volta che ho sentito questo “anti-comunicato” è stato il 13 dicembre, ma già in precedenza, istintivamente, la folla aveva avvertito la necessità di rispondere al modo in cui la polizia si era appropriata, con la violenza e la prepotenza del megafono, dell’etere comune. Per esempio, quando il giorno in cui ci hanno circondato in via Warynskiego è partita la registrazione poliziesca, al suo “uwaga uwaga, tu policja” (attenzione, attenzione, questa è la polizia) la folla ha subito risposto urlando “uwaga uwaga tu obywatelki” (attenzione, attenzione, queste sono le cittadine).

Questa controregistrazione, inoltre, ha davvero sortito un qualche effetto, se in occasione di una protesta di solidarietà in via Wilcza, un ragazzo dell’homokomando è stato addirittura circondato e spintonato dai bulli in divisa per aver lanciato il messaggio preregistrato con il suo megafono. Permalosi, ‘sti poliziotti.

Sempre riflettendo sull’occupazione dell’aria  – uno spazio non meno importante di altri, ripeto, anche se meno tangibile – mi vengono in mente anche micro-lotte interne: come quando a una protesta io, Squorp e un’altra persona ci siamo sgolat* per sovrastare con dei cori più intelligenti un megafono da cui usciva solo “jebać PiS” (PiS, vaffanculo).

Non era quel noiosone di Wordsworth che parlava di raccogliere i propri pensieri in tranquillità? E così è nella calma imbiancata di Łazienki, credo, che ho cominciato a mettere insieme le mie impressioni: mi sono reso conto che si potevano formulare due tipi di schematizzazione: una sarebbe andata ad individuare le categorie di spazi soggetti all’invasione e alla lotta (e sarebbero stati l’aria [la dimensione sonora, auditiva], le superifici fisse [muri, cartelloni pubblicitari ‘normali’, i pali della luce sui quali si affollano gli adesivi] e quelle mobili [i cartelloni ‘animati’ e i vari autobus, difficilmente ‘correggibili’, anche se ogni tanto i cittadini riescono a fermare fetobus e omofobus]) e un’altra avrebbe identificato i tipi di lotta come pari-impari a seconda delle possibilità economiche o politiche di un dato agente (una fondazione ha più potere di un’anarchica con lo spray, un pulotto ha più potere di una cittadina, mentre il cittadino che attacca un adesivo proaborto ha un potere paragonabile a quello del cittadino che lo stacca, ma un cittadino col megafono ha più potere di un cittadino che può contare solo sulla propria ugola e sul proprio diaframma). Mi sono anche visualizzato dei titoletti per un eventuale articolo: 1) manspreading e mansplaining 2) i muri parlano 3) nasze macice nasze ulice[3]4) l’invasione degli ultrafeti. Continuando a camminare mi sono pian piano dimenticato i dettagli di queste mie categorie e anche bene perché avessi pensato di dilungarmi su di esse (forse le mie intenzioni erano solo all’apparenza meramente descrittive; può darsi che in fondo covasse dentro di me l’idea di proporre degli esempi di vandalattivismo efficace provate nel passato e buone per essere utilizzate in futuro) e, come se tutte le mie elucubrazioni fossero state assorbite dalla neve del parco insieme al rumore dei miei passi, sono uscito dal cancello senza ricordarmi niente.

Continuando a camminare sono arrivato a un tratto di via Koszykowa che con un adesivo, a fine ottobre, le attiviste avevano rinominato[4] Ulica Feministka (via Femminista). E mi è venuto in mente che una cosa simile era successa alla via Jana Pawła, grazie agli adesivi – rimossi abbastanza presto – trasformata in aleja Ofiar Jana Pawła (via delle vittime di Giovanni Paolo), in riferimento all’atteggiamento del papa polacco nei confronti della pedofilia nella chiesa. Ho anche pensato alla pratica con la quale ormai chi partecipa alle proteste chiama Rondo Dmowskiego con il nome di Rondo Praw Kobiet (rotonda dei diritti delle donne).

E sulla scia delle figure di Giovanni Paolo e Dmowski, mi è ricomparso davanti agli occhi il busto di Ronald Reagan semicoperto di neve visto mentre qualche ora fa andavo verso il parco. Ho ricordato il modo in cui lo avevano sprayato durante le prime manifestazioni di ottobre, scrivendogli addosso “pro abo”, azione che aveva fatto inorridire il politico Szczerba.

Pensando a come occupiamo gli spazi, mi sono anche tornati in mente i fatti della cosiddetta Madonna arcobaleno. È ancora in corso[5] il processo ad alcune attiviste, imputate di una colpa che potrebbe far sorridere (o ridere. o piangere) chi non ha familiarità con le leggi polacche: l’accusa è di aver “offeso i sentimenti religiosi”.
Cosa avrebbero fatto queste ragazze di tanto terribile? Appeso dei manifesti in cui la madonna era ritratta con un’aureola color arcobaleno (i colori della bandiera LGBTQAI+).

Certo, una legge che prevede la difesa dei sentimenti religiosi è già da disprezzare. Come ci ha insegnato (tra gli altri) il vecchio Zerocalcare (lo so, come direbbe Jello Biafra, myliterarybackgroundeccetera[6]), non bisogna confondere ciò che è legale con ciò che è giusto. E quindi, mi verrebbe da dire (e anche Amnesty lo dice), qui la legge va cambiata.

Però, al di là della legge, l’intenzione era davvero quella di offendere i sentimenti di qualcuno?[7] Non tutt* sono crudeli come il sottoscritto. Può essere benissimo che l’idea fosse quella, semplicemente, di riappropiarsi di uno spazio[8], quello che sta proprio dietro la capoccia della madonna, piantare la propria bandiera sull’aureola.

Entro su Jana Pawła, la lunghissima via dedicata al Papa polacco, per i credenti semplicemente (e per i non-credenti ironicamente) Nasz Papież (“Il nostro Papa”). Come dicevo, anche questa via ha subito di recente un intervento di attivismo odonomastico, quando qualcuno ha anteposto al nome di Giovanni Paolo II la parola “Ofiar”, a significare “delle vittime di”. Il riferimento è allo scandalo dei pedofili nella Chiesa.

Superato l’incrocio con Prosta e Świętokrzyska, comincio a notare sempre più ultrafeti[9]. Dopo un feto coperto dalla a degli anarchici, arrivo all’incrocio di cui vi (o mi) parlavo prima. Mi trovo tra Solidarności e Jana Pawła. Qui, sul lato di Solidarności, una volta sorgeva il Kino Femina, che ancora dà il nome alla fermata del tram. Oggi, dove una volta c’era il cinema, c’è una biedronka, un esemplare della catena di negozi di alimentari di una multinazionale portoghese.

In via Andersa, dove passo adesso, la maggior parte dei locali ha appeso alla propria vetrina il simbolo dello Strajk Kobiet. Vi è una scritta sul muro che una volta diceva “Abortion is a human right”. Qualcuno ha aggiunto in e adesso legge “Abortion is a inhuman right” (sic). Gli adesivi sui pali vengono attaccati, staccati e coperti da altri adesivi. Questo, però, è una lotta alla pari[10].

Chi fa appello al decoro, non capisce che non fare nulla in nome di una città pulita significa lasciare la città a chi ha i soldi per comprarsela. Sia che si tratti di un’azienda produttrice di cioccolatini che colonizza il centro, sia che si parli della fondazione Nasze Dzieci. Che sia più elegante un feto rinchiuso in un cuoriciazzo rispetto a una madonna su un aureola arcobaleno, poi, rimane tutto da vedere.

Camminare per le strade di Varsavia è essere continuamente aggrediti da insegne, da segni o da simboli. Chi può, fa bene a riposare il proprio sguardo andando a Łazienki, a Bielany[11] a Kampinos, ma, se si abita qui, non è possibile rimanere indifferenti a questo bombardamento. E così è bello, ho pensato, passando qualche ora fa in via Wilcza, che da una finestra del centro sociale Syrena, proprio di fronte a una caserma della polizia famosa per essere una delle più brutali, debba in qualche modo spuntare un arcobaleno.

 


 

[1] La cosa si sarebbe complicata ancora di più a febbraio, con l’apparizione di altri manifesti che questa volta dicono “amatevi, mamma e Papà” e recanti il nome dell’associazione “sychar”. Dal sito della fondazione nasze dzieci, però, (sito che tra l’altro si chiama “fundacja kornice”, per confondere ancora di più le idee), risulta che, in realtà, questi nuovi volantini sono sempre un loro progetto e che l’associazione sychar ha “accettato” di mettere il proprio logo, condividendo i valori della prima fondazione. Quali sono questi valori? Che il divorzio è peccato, come l’aborto insomma, e che al massimo si può chiedere una separazione. Insomma, un’altra vagonata di cazzate.

Se non altro, a questa campagna antidivorzio (e quindi, per quanto mi riguarda, profondamente antifamiglia), Kampania Przeciw Homofobii ha risposto con una controcampagna in favore dei bambini LGBTQ+ chiamata “amatemi, mamma e Papà” (corsivo mio).

[2] In realtà è poi venuto fuori che il disegno non è stato commissionato dalla fondazione, ma scaricato da un sito dove si possono acquistare immagini. L’autrice si è pronunciata contro l’uso fatto dalla fondazione (senza comunque poter far molto legalmente) e ha anche fatto una grafica per le proteste. Metto queste informazioni in nota perché, per quanto possa essere interessante per qualcun*, non mi sembra molto significativo che l’autrice di questa porcheria si sia dissociata dalle azioni della fondazione, anche se ha certamente fatto bene a dirlo. La sua seconda grafica riparatoria fa ancora più schifo della prima (diciamo che almeno nella prima osava molto, rinchiudendo un feto dentro un cuoricino, mentre la seconda è semplicemente bruttina).

[3] Letteralmente: “i nostri uteri, le nostre strade”. È un coro che ho sentito spesso e che aveva anche una variante più estesa e leggermente diversa “wasze sądy i kaplice, nasze pięści i macice” (i tribunali e le chiese sono vostre – nostri i pugni e gli uteri)

[4] Due cose: nelle settimane successive alla scrittura di questo pezzo c’è stata anche un’altra fantastica azione, documentata da OKO.press, nel quale la Komenda Główna Policji, ovvero il commissariato principale della polizia, veniva ribattezzato, con uno striscione, come Komenda Główna Tortur, letteralmente il commissariato principale delle torture. Inoltre, quando scrivevo questa roba dovevano ancora partire le iniziative odonomastiche segnalate da Wu Ming, ma è interessante vedere come il popolo, privo della forza legislativa delle istituzioni e della forza economica di certe fondazioni (come Nasze Dzieci in Polonia), riesca, con mezzi limitati e un po’ d’inventiva, ad avere un impatto visibile, per quanto effimero, sul territorio. Per l’articolo di OKO.press, si tratta di “Komenda Główna Policji przemianowana na Komendę Główną Tortur”, scritto da Robert Kowalski e pubblicato il 16 marzo 2021. Come spiega Kowalski (e come è visibile nel video), anche i nomi delle strade vicine alla centrale sono stati cambiati così: “via alla Memoria di Igor Stachowiak” (cittadino polacco morto durante l’arresto), “via delle Persecuzioni contro le persone LGBTQ+ e chi manifesta in modo pacifico” “via degli Omicidi e della Brutalità”, “via degli Stupri e delle Umiliazioni”.

[5] Ora è finito e le attiviste sono state ritenute innocenti.

[6] La canzone, con i Melvins, è “Enchanted Thoughtfist”.

[7] Il giudice, alla fine, l’ha vista più o meno come me.

[8] Vi sembra stupido insistere su questa cosa degli spazi? Può essere, ma lo spazio conteso è importante: è vero, all’apparenza sembrerebbe essere composto sì, di muri, pali della luce, etere, ma, come dimostra il processo alle ragazze che hanno arcobalenato la madonna, si tratta in fondo del nostro stesso immaginario.

[9] Alla manifestazione del 29 gennaio, di cui non ho scritto nulla se non che la polizia polacca si era fatta di nebbia, i manifestanti avrebbero dimostrato tutto il proprio disprezzo per queste immagini, sprayandoci sopra e in un paio di casi, anche fracassando il vetro dietro il quale erano protette. Atti di vandalismo che è difficile non comprendere, derivanti dalla frustrazione di vedersi sputati negli occhi, ogni giorno, ad ogni angolo di strada, le immagini dei fondamentalisti religiosi.

[10] Come quelle tra gli ultras fascisti che a Wola sprayano i muri con scritte contro gli antifa e altri abitanti del quartiere che cancellano questi graffiti. O la scritta che ho visto cambiare da Racism is a pandemic a Leftism is a pandemic. In questi casi vedi, per lo meno, due gruppi che si affrontano ad armi più o meno pari (più o meno perché sappiamo benissimo che la polizia vuole più bene ai fascisti), ovvero le bombolette, su un territorio comune – i muri (e, per quanto riguarda gli adesivi, i pali). Non è la stessa cosa quando una fondazione compra gli spazi pubblicitari in tutta la Polonia per farti il lavaggio del cervello (né, ma questa è un’altra storia – o non lo è? – quando la stessa cosa viene fatta da un’azienda italiana produttrice di cioccolatini – vedi il lontanissimo inizio dell’articolo).

[11] Ma, attent*, perché proprio fuori all’ospedale di Bielany è spesso parcheggiato il fetobus.